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La Grande Moschea di Abu Dhabi La Grande Moschea di Abu Dhabi

Tra Golia e Davide d’Arabia è l’ora della fraternità

Un abbraccio per sancire che il dialogo tra fedi diverse è indispensabile per i destini dell’umanità. A ospitare questo incontro interreligioso sarà lunedì prossimo la città di Abu Dhabi, sul Golfo Persico, che porterà per la prima volta un Papa vicino alla minuscola Chiesa degli Emirati Arabi

Alessandro De Carolis -  Abu Dhabi

Non è il blu della notte ma piuttosto quello di un crepuscolo che si può immaginare a queste latitudini, un blu cobalto saturo e affascinante, che all’imbrunire, quando è l’ora della luna, fa suo quello che prima per ore, sotto il sole, era stata un’accecante distesa di marmo candido. È uno spettacolo per gli occhi l’illuminazione che, al calare della sera, colora la Grande Moschea di Abu Dhabi, smisurata alla vista ma allo stesso tempo elegante, con gli archi moreschi e i porticati ad alleggerire la struttura squadrata, le dozzine di cupole ad ammorbidirla e i quattro altissimi minareti a proiettarla verso quel cielo a cui ruba qualche sfumatura a ogni tramonto.

L’enormità del tutto

Le migliaia di turisti che sciamano sul suo perimetro accumulano meravigliati un’infinità di foto perché c’è, nella magnificenza dell’architettura e delle decorazioni di oro e gemme, il chiaro intento di rapire lo sguardo, di ammaliarlo. Ma non solo la Grande Moschea può fregiarsi a ragione di questo aggettivo – 12 ettari di estensione, spazio per 40 mila fedeli in preghiera, fino a 7 mila ospitati sul tappeto più grande al mondo. Qui tutto è colossale e svettante, in particolare lungo gli 8 km della Corniche Road, la strada che costeggia il mare, dominata da una sorta di catena himalayana di grattacieli tra i più alti al mondo e dalle forme che sfidano la fisica e giù in basso dalla teoria dei negozi del lusso. È il Golia generato da 60 anni di vendita di oro nero e gas, niente a che vedere con la pesca e il commercio delle palme da dattero prima che la città beduina di Abu Dhabi scoprisse di poggiare su una, di nuovo, gigantesca fortuna. C’è tanto di Golia, dunque, ma c’è anche Davide.

Un’altra dimensione

A Papa Francesco piacciono i Davide di questo mondo, i piccoli già bollati come perdenti da difendere e restituire a nuova dignità. O il dialogo interreligioso che per molti, anche all’interno della Chiesa, è un piccolo Davide che non sempre vale gli sforzi che richiede. E, ad Abu Dhabi, c’è pure il Davide di una comunità cristiana infinitesimale nei numeri tanto quanto è ciclopico il resto, che però oggi era in fila in massa a caccia di un biglietto per la Messa di martedì allo Zayed Stadium (la più grande all’aperto mai celebrata qui, ed è un altro record). Domani Francesco sarà qui, a dire al Davide dell’“umana fraternità” che sarà sua la parola vincente già oggi, nonostante le guerre a pezzi, se i leader religiosi e le rispettive comunità vorranno fare rete in modo ancora più solido, e forse più sorprendente, rispetto al passato.

Piccoli Davide crescono

In un terreno a lato della Grande Moschea risposa il padre fondatore degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Zayed, figura che aleggia con il peso di un carisma che qui è ricordato ovunque. Quando decise di edificare il suo tempio all’islam, lo sceicco chiese di impiegare artigiani e utilizzare materiali di provenienza internazionale la più varia. Perché, spiegò, lo spirito con cui la Moschea doveva sorgere era quello di “unire il mondo”. L’incontro che i suoi eredi hanno convocato per lunedì prossimo sembra in piena sintonia con quell’ideale. Francesco non ha voluto mancare questo appuntamento. Unire il mondo è una sfida improba, che ha molto di un confronto alla David e Golia. Ma come andò quella storia insegna a tutti noi qualcosa.

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03 febbraio 2019, 11:01