Video. Ritrovato dalla Marina il “Giovanni delle Bande Nere”: affondò nel 1942


L’incrociatore “Giovanni delle Bande Nere” fu varato il 27 Aprile del 1930 a Castellammare di Stabia, è stato l’orgoglio di molte generazioni di stabiesi. Fu festa grande per il varo, avvenuto nello stabilimento dei Borbone, di questo gigante dei mari lungo 169 metri, 6.950 tonnellate di stazza a pieno carico.

La madrina fu la principessa Maria Adelaide di Genova. La costruzione fu completata qualche mese dopo, nel 1931 e, sotto il regime fascista, era l’immagine di una nazione che ambiva ad avere la grande considerazione di “potenza navale“.

In effetti diede parecchie soddisfazioni al regime: nel 1939 prese parte all’occupazione dell’Albania, schierandosi dinanzi alle coste albanesi sotto la guida dell’ammiraglio Arturo Riccardi, insieme a incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, dalle due Cavour, dai quattro incrociatori pesanti della classe “Zara”, 13 cacciatorpediniere, 14 torpediniere e varie motonavi su cui erano imbarcati in totale circa 11.300 uomini e 130 carri armati.

Nel corso della seconda guerra mondiale, il Giovanni delle Bande Nere, dotato di idrovolanti IMAM RO.43, prese parte, insieme al gemello Colleoni (con il quale formava la II Divisione), alla battaglia di Punta Stilo del 9 luglio 1940. Successivamente, il 19 luglio, fu inviato in Egeo assieme al Colleoni, per attaccare il traffico nemico in quel mare, ma si scontrò con l’incrociatore austrliano HMAS Sydney accompagnato da cinque cacciatorpediniere britannici in quella che divenne la battaglia di Capo Spada.

L’incrociatore partecipò attivamente anche alla campagna di Libia, nel 1941, trasportando la corazzata “Ariete” diretta a Tripoli.
Il 21 marzo del 1942 aveva preso parte alla seconda battaglia di Sirte, vinta dalla flotta italiana contro la Royal Navy al largo di Malta: la nave costruita a Castellammare aveva colpito l’incrociatore britannicoCleopatra”, ma per alcuni danni subiti per le condizioni del mare durante la battaglia fu costretta a ripararsi a Messina per un primo intervento.

Il mattino del 1º aprile 1942 lasciò Messina diretto a La Spezia, per effettuare alcune riparazioni in Arsenale,  scortato dal cacciatorpediniere Aviere e dalla torpediniera Libra. Alle 9 del mattino a undici miglia da Stromboli il gruppo venne intercettato dal sommergibile britannico Urge: un siluro spezzò in due lo scafo del Giovanni delle Bande Nere, che affondò rapidamente, trascinando con sé 293 uomini, tra ufficiali, sottoufficiali e marinai. Secondo un’altra fonte, sarebbe sopravvissuto un solo marinaio (il Fuochista ausiliario Gino Fabbri).

L’incrociatore, destinato a rimanere per sempre un “sacrario del mare“, è stato ritrovato dalla Marina Militare a distanza di 77 anni dall’affondamento a tragica fine dell’unità navale localizzata a 11 miglia nautiche a sud dell’isola di Stromboli, a una profondità compresa tra 1.460 e 1.730 metri, in una posizione compatibile – spiega la Marina Militarecon quella del suo affondamento avvenuto il primo aprile 1942. Il ritrovamento dell’incrociatore – sottolinea ancora la Marina – conferma l’efficacia operativa dei veicoli subacquei in dotazione, capaci di operare a quote profonde per il controllo dei fondali e delle infrastrutture strategiche, nonché la professionalità degli specialisti del Comando delle forze di contromisure mine”.

La scoperta è avvenuta grazie all’impiego dei veicoli subacquei Hugin 1000 (ditta Kongsberg) e quello filo guidato Multipluto 03 (ditta Gay Marine) imbarcati sul cacciamine “Vieste” in grado di condurre ricerca e identificazione a quote profonde. Questi stessi veicoli avevano aiutato a riportare alla luce l’altro sottomarino, “Urge”, nel 2015.

Le immagini sono state girate a oltre 1.500 metri di profondità grazie a un veicolo sottomarino filo guidato restituiscono per la prima volta da quel 1942 le immagini della della nave costruita nel cantiere navale di Castellammare.
Riescono a vedersi perfettamente la corona reale di poppa, la campana di bordo ancora incredibilmente al suo posto, ecco i cannoni, poi l’elica e i tubi lancia siluri. Sul fondale del Tirreno si ricostruisce perfettamente la tragedia.
L’incrociatore che aveva visto i natali all’ombra del Vesuvio, rimarrà inabissato nelle profondità nel golfo della città originaria.

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