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Nella fascia collinare, accanto ai boschi già descritti che si sviluppano in zone fresche e umide (cioè quelli con presenza di roverella, carpino nero, cerri), si trovano importanti complessi di vegetazione arbustiva e arborea xerofila, cioè adattata a vivere in condizioni di maggiore aridità (temperature più alte e carenza idrica). Queste formazioni possono prendere la forma di boschi a prevalenza di roverella (Quercus pubescens), cespuglieti con ginepro (Juniperus communis), citiso (Cytisus sessilifolius) o ginestra (Spartium junceum).

Ciò che accomuna queste tipologie di raggruppamenti è il folto strato erbaceo costituito prevalentemente da brachipodio (Brachypodium rupestre), una graminacea e altre come il camedrio (Teucrium chamaedrys), la cicerchia montana (Lathyrus linifolius), il raperonzolo (Campanula rapunculus) ed il dittamo (Dictamnus albus), specie rara nella nostra Regione e oggetto di protezione.

Le specie

Brachipodio (Brachypodium rupestre): il nome generico deriva dal greco ‘brachys’ (breve) e ‘podon’ (piede) in riferimento alle spighette subsessili; il nome specifico si riferisce agli habitat pietrosi. Fiorisce in maggio-luglio. Sono stati fatti studi sull’uso, in antichità, del brachipodio come emostatico da parte delle popolazioni del Sud Italia. Non sono noti usi del brachipodio a fini erboristici o per il consumo umano ai giorni nostri.

Camedrio (Teucrium chamaedrys): il camedrio è una pianta mellifera e può essere utilizzata per produrre miele. Questa pianta veniva molto usata per la preparazione di liquori amari o nell’industria del vermouth; ciò non accade più a causa della comprovata tossicità di alcuni suoi componenti che possono provocare gravi disturbi. Da evitare assolutamente ogni suo uso.

Raperonzolo (Campanula rapunculus): durante il periodo estivo la pianta fiorisce producendo i caratteristici calici lilla a forma di campanella; questa pianta è rinomata soprattutto per la sua capacità di potenziare e rinforzare il sistema immunitario: ciò è dovuto all’elevato contenuto di acido ascorbico e alla presenza di altri oligoelementi. Ha anche effetti lassativi, diuretici e un buon potere antinfiammatorio e per questo può rivelarsi utile come rimedio naturale per le infiammazioni a carico del cavo orale: la medicina popolare utilizzava le parti aeree (foglie e fiori) per la preparazione di colluttori utili contro le infiammazioni della bocca e della gola, per l’effetto benefico esercitato sui tessuti dalle sostanze resinose contenute.

In cucina si utilizzano le radici crude, dal sapore dolciastro, in insalata, le foglie basali (amarognole) insieme ad altre erbe, per minestre, zuppe e insalate; i getti primaverili possono essere cotti e usati come gli asparagi. I fiori possono essere gustati nelle misticanze in insalata, che arricchiscono anche con una nota di colore.

Dittamo (Dictamnus albus): viene anche chiamato frassinella perché la forma delle sue foglie ricorda da vicino quella del frassino; è usato anche il nome di limonella poiché le sue foglie, se sfregate, emanano un intenso profumo simile a quello del limone. Fiorisce da maggio a luglio.

Le proprietà del dittamo sono innumerevoli: ricco di antiossidanti, è in grado di aumentare l’appetito, è diuretico, digestivo, antispasmodico, astrigente e calmante. Ha anche proprietà antifungine, antibatteriche e antielmintiche, tanto che fin dall’antichità in Grecia veniva usato come medicina. Nel pieno rispetto della legislazione europea, il dittamo è riconosciuto come medicina tradizionale e ne è permesso l’utilizzo come erba aromatica.

La pianta è ricca di oli essenziali e di alcaloidi, e il contatto può provocare reazioni fotoallergiche; inoltre la grande quantità di olii essenziali emessa dalle ghiandole satura l’atmosfera delle calde giornate d’estate e prende facilmente fuoco al contatto di una fiammella, da cui i nomi inglesi e francesi: ‘burning bush’ e ‘buisson ardent’ (arbusto ardente).

Boschi di roverella (Quercus pubescens)

La roverella è una quercia che ama luoghi asciutti e assolati; resiste alle temperature elevate, tuttavia resiste ad inverni rigidi come quelli che possono colpire la valle del Sillaro ed i suoi dintorni. Nella trattazione degli ambienti che possiamo incontrare passeggiando in questa valle, abbiamo descritto la roverella come specie caratterizzante i boschi mesofili insieme a specie come il carpino nero e l’orniello. In queste tipologie di foreste però la roverella non prevale alle altre essenze, anzi ne teme la concorrenza.

Solamente nei versanti più asciutti e caldi la roverella riesce a dominare sulle altre specie arboree e forma popolamenti luminosi, cioè che lasciano filtrare nel sottobosco una quantità di luce sufficiente all’insediamento di arbusti che amano la luce, fra cui il ginepro (Juniperus communis), il citiso (Citisus sessilifolius), il biancospino (Crataegus monogyna) e la rosa canina (Rosa canina).

Queste forme rade di boschi di roverella con presenza di specie arbustive sono tipiche dei luoghi aridi e simili a cespuglieti alberati o boscaglie con sviluppo che rimane limitato.

Alla base dei versanti collinari più caldi, dove le temperature e l’aridità rimangono alti, ma dove il suolo è più profondo, la presenza di roverella è più marcata e le piante più sviluppate rispetto allo strato arbustivo, che riceve meno luce ed è meno compatto.

Laddove, alla base dei versanti più caldi, il suolo presenta caratteristiche favorevoli, assieme alle roverelle potremo trovare anche la presenza del cerro (Quercus cerris), specie plastica che nelle valli bolognesi (come pure nella valle del Sillaro) riesce anche a crescere in boschi misti su suolo arenaceo. In questi boschi è frequente imbattersi in una prelibata specie tipicamente mediterranea: l’asparago pungente o asparagino selvatico (Asparagus acutifolius).

Roverella (Quercus pubescens): oltre ad essere presente nei boschi xerofili in purezza o (in alcuni casi assieme al cerro), in valle del Sillaro troviamo esemplari isolati di roverella davvero significativi, di grandi dimensioni (20m e oltre di altezza). Uno di questi, all’interno di una proprietà privata in via Ca de Masi, è elencato fra gli alberi monumentali di interesse regionale; all’inizio di via Calvanella, in loc. S. Clemente, alcuni esemplari maestosi di roverella rendono ancora più piacevole la risalita verso monte.

La flora micologica che si associa alla roverella, come del resto quella di altri tipi di quercia, è piuttosto ricca, ma soprattutto di gran pregio dal punto di vista culinario: è infatti in grado di stringere simbiosi con tutte le tipologie di funghi ipogei (volgarmente chiamati “tartufi”) commestibili più ricercati, compreso il tartufo bianco d’Alba: questa sua caratteristica rende la roverella l’albero tartufigeno per eccellenza in Italia.

Cerro (Quercus cerris): a differenza della roverella che dà fusti nodosi e contorti, il cerro dà fusti dritti, colonnari e privi di nodi che danno un ottimo legname da opera, pertanto si presta benissimo ad essere governato a fustaia o a ceduo composto e ceduo semplice (prodotti del ceduo sono la legna e il carbone). Il cerro è anche utilizzato per la costruzione di manici di accette, picconi, ecc. e per questo, in alcune zone, viene preferito al legname di tutte le altre specie.

Il cerro è utilizzato nella medicina popolare: la corteccia viene impiegata per fare decotti astringenti per infiammazioni emorroidarie, della pelle e delle mucose (gola, gengive, ecc.). Si fanno lavaggi, gargarismi, cataplasmi. Si possono fare anche tisane per disturbi intestinali con decotti di corteccia più diuluiti. In farmacia vengono utilizzate le noci di galla per la produzione di un tannino contenente acido gallico che serve come astringente, emostatico e contravveleno per gli alcaloidi.

Una galla è una proliferazione di cellule escrescente, di forma più o meno sferica, di varie dimensioni; si forma su foglie, tronco, rami e radici (anche del cerro) ed è dovuta solitamente a un insetto (cipinide) che deposita le uova nel tessuto vegetale. La noce di galla cresce poi attorno alla larva, la nutre e, una volta sviluppata, questa scava una galleria per volare via attraverso un piccolo forellino.

Grazie a questi insetti, quello ferrogallico è stato l’inchiostro per eccellenza fino alla nascita della stampa in quanto tenace, resistente a luce, sole, umidità e acqua.

Asparago pungente o asparagino selvatico (Asparagus acutifolius): scrigno di nutrienti benefici, tra i quali fibre vegetali, acido folico e vitamine (vitamina A, C ed ), presentano inoltre un interessante contenuto di sali minerali, tra i quali è bene evidenziare il cromo, che permette di migliorare la capacità dell’insulina di trasportare il glucosio dal flusso sanguigno verso le cellule del nostro organismo.

Gli asparagini sono particolarmente ricchi di glutatione, utile a favorire la depurazione dell’organismo, migliorandone la capacità di liberarsi di radicali liberi. Mangiare asparagi consente di ottenere una serie di benefici: tenere a bada la glicemia, assumere una buona dose di vitamine e sali minerali, avere un effetto diuretico e depurativo sull’organismo. Queste ultime caratteristiche li rendono particolarmente consigliati a coloro che soffrono di ritenzione idrica, edema o ipertensione.

I germogli – dal sapore amarognolo – sono spesso utilizzati in cucina per preparare frittate e sughi, molto apprezzato il riso con asparagi.

Gli asparagi germogliano in primavera e sono più piccoli dei comuni asparagi coltivati; vengono raccolti allo stadio di getti immaturi (germogli) staccando il getto dalla base, senza strapparlo o danneggiare il cespo sotterraneo: ciò permette al cespo di produrre altri getti. In primavera avanzata occorre sospendere la raccolta e permettere la normale vegetazione dello stelo, la produzione delle foglie spinose, la fioritura e la fruttificazione.

Cespuglieti a ginepro e citiso

In certe situazioni ambientali i suoli possono essere ancora più magri e asciutti (un suolo magro contiene pochi elementi utili alla crescita delle piante e ne costituisce un fattore limitante); la carenza di tali elementi è dovuta, oltre che alle caratteristiche di composizione del suolo stesso, ad insufficiente apporto di sostanza organica da parte della vegetazione sovrastante e mancato apporto di nutrienti dall’esterno (assenza di concimazioni in terreni incolti o abbandonati).

Dove a queste caratteristiche si uniscono anche la scarsità di precipitazioni e l’esposizione soleggiata, le condizioni ambientali (legate prevalentemente alle caratteristiche del terreno, che diventa fattore ulteriormente limitante) permettono l’insediamento di un buon numero di specie arbustive come il ginepro, il citiso, il biancospino e la rosa selvatica. Compaiono qui anche isolati individui di roverella.

Come evidenziato nella trattazione dell’ambiente n.5 “Margini dei boschi”, i popolamenti di ginepro e citiso si trovano soprattutto al margine dei boschi mesofili (ad esempio un bosco di querce e carpini neri) e nelle radure all’interno di questo tipo di foreste. Attualmente, visto l’abbandono di molti campi un tempo coltivati, in valle del Sillaro questo tipo di ambiente è assai diffuso in pascoli ed incolti.

Alle formazioni di cespuglieto si può arrivare quindi seguendo la linea temporale dell’evoluzione ecologica (chiamata dai botanici successione secondaria): come si può capire dallo schema qui sotto una prateria può evolvere, se le condizioni lo permettono (assenza di disturbi e di fattori limitanti) in un cespuglieto con presenza di alberi giovani. Nell’evoluzione naturale della flora, gli arbusteti più giovani sono ancora caratterizzati da grandi macchie erbose costituite da brachipodio.

 

Nella fase di ricostruzione spontanea dei boschi di querce negli arbusteti più complessi (quelli cioè che si sono insediati nei coltivi abbandonati da più tempo) si consoliderà via via uno strato arboreo più sviluppato con individui di maggiore dimensione rispetto ai cespuglieti insediati da meno tempo, dunque meno evoluti. Con l’andare del tempo, ancora in assenza di fattori limitanti e/o di disturbo, avremo l’evoluzione in foresta giovane.

Nei boschi xerofili, quelli cioè in cui le alte temperature e la scarsa disponibilità idrica risultano un fattore limitante all’evoluzione della flora in foresta compatta, è del tutto normale la presenza di un cospicuo strato arbustivo costituito da ginepro, citiso, biancospino e rosa canina, amanti di luce e terreni asciutti.

Ginepro (Juniperus communis): il legno di ginepro, dal colore rosso e dal tipico odore resinoso, viene impiegato per lavori di intaglio; è coltivato come pianta ornamentale in parchi e giardini; in particolare il ginepro è stato usato con successo per creare siepi di confine perché grazie alle foglie pungenti – che con la crescita formano un fitto intreccio – costituisce un’ottima barriera difensiva. Si pensa che derivi da questa caratteristica l’espressione idiomatica “cacciarsi in un ginepraio”.

Del ginepro sono impiegate le foglioline dei ramoscelli e le bacche essiccate, le quali hanno proprietà curative note da moltissimo tempo: diuretiche e antisettiche, soprattutto delle vie urinarie in caso di cistite; utili per aumentare la diuresi in caso di gotta, reumatismi e dolori artritici in generale; espettorante, rubefacente e carminative nella cura di affezioni alle vie respiratorie; calmanti e sedative della tosse. A livello dell’apparato gastrointestinale stimola la secrezione dei succhi gastrici, favorendo i processi digestivi; impedisce la fermentazione intestinale e stimola l’appetito in caso d’inappetenza.

Per uso esterno è ottimo per combattere i dolori reumatici, favorisce e stimola la circolazione periferica, è un antisettico e disinfettante in caso di affezioni e irritazioni della pelle e agisce come cicatrizzante nella cura di tagli e ferite.

L’ infuso concentrato di bacche di Ginepro ha effetto balsamico, purificante e stimolante.

Citiso (Citisus sessilifolius): è una specie rustica adatta al rinverdimento di scarpate anche su substrati argillosi e per il recupero di terreni degradati grazie a un apparato radicale molto esteso, adatta anche ad un uso anche ornamentale grazie ai bellissimi fiori gialli simili a quelli della ginestra.

La presenza di citisina in tutte le sue parti, un alcaloide estremamente tossico e velenoso, ne rende pericoloso qualsiasi uso per preparati erboristici o per il consumo diretto.

Biancospino (Crataegus monogyna): un tempo veniva utilizzato come essenza costituente delle siepi interpoderali, cioè per delimitare i confini degli appezzamenti. In ragione delle spine e del fitto intreccio dei rami la siepe di biancospino costituiva una barriera pressoché impenetrabile.

Attualmente l’esigenza di non rendere difficoltosa la circolazione dei mezzi agricoli meccanici ha determinato la quasi totale scomparsa delle siepi di biancospino con questa funzione.

Il biancospino è una pianta mellifera e viene bottinata dalle api ma solo raramente se ne può ricavare un miele monoflorale, perché di solito si trova in minoranza rispetto alle altre piante del territorio.

È una pianta fonte di antiossidanti e steroli, che si ricavano dal processo di essiccamento delle foglie e dei fiori (più ricchi di flavonoidi rispetto alle bacche); le sostanze che si ricavano da questa essenza sono utilissime per controllare la tachicardia e l’ipereccitabilità.

Molto utilizzata è anche la tisana o l’infuso di Biancospino (con fiori secchi), rimedi eccellenti per controllare stress, ansia e qualsiasi stato di inquietudine.

Non solo, poiché questi infusi sono utili anche per contrastare la ritenzione idrica e favorire la concentrazione.

Rosa canina (Rosa canina): può essere usata con successo per creare siepi interpoderali o difensive, quasi impenetrabili, per le numerose spine robuste che possiede lungo tutti rami.

I piccoli frutti sono considerati le sorgenti naturali più concentrate in Vitamina C, presente in quantità fino a 50-100 volte superiore rispetto alle arance e limoni e per questo in grado di contribuire al rafforzamento delle difese naturali dell’organismo (100 grammi di bacche contengono la stessa quantità di vitamina C di 1 chilo degli agrumi tradizionali).

L’azione vitaminizzante si lega a quella antiossidante dei bioflavonoidi contenuti nella polpa e nella buccia, che agiscono sinergicamente alla Vitamina C, ottimizzando la circolazione sanguigna.

I frutti di rosa canina vengono impiegati nella medicina popolare per trattare disturbi del tratto urinario e dei reni (inclusi i calcoli renali) e come rimedio contro i reumatismi, contro il raffreddore e gli stati febbrili e perfino contro la gotta e lo scorbuto.

La medicina popolare utilizza anche il ricettacolo (liberato dai peli) dei falsi frutti di rosa canina per trattare diversi tipi di disturbi, quali influenza e raffreddore, disturbi gastrointestinali, carenza di vitamina C, calcoli biliari e leucorrea.

Cespuglieti a ginestra (Spartium junceum) e ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius)

La ginestra (Spartium junceum) è un cespuglio particolarmente vistoso e diffuso nella valle del Sillaro, specilamente nella media valle; all’epoca della fioritura (nei mesi di maggio – luglio) colora i versanti di un giallo che cattura.

Questa presenza floristica riguarda le parti inferiori della fascia dei querceti, è una pianta tendenzialmente mediterranea, amante del caldo e che resiste bene alla siccità. Una caratteristica che sottolinea l’adattamento all’aridità è quella della quasi totale perdita delle foglie durante il periodo più caldo: così facendo la pianta riesce a risparmiare risorse idriche limitando l’evapotraspirazione.

La ginestra forma steppe arbustate (in fitogeografia la steppa è una formazione vegetale dove il clima è caratterizzato da un periodo arido e da un breve periodo di piogge ed è tipicamente caratterizzata da una scarsa densità di piante, rappresentate in prevalenza da graminacee) in presenza di condizioni climatiche ancora più estreme di quelle in cui si insediano citiso e ginepro (temperature più elevate e terreni ancora più magri).

Passeggiando in valle del Sillaro troveremo spesso le ginestre nei pendii più assolati e ripidi e anche ai margini dei boschi di roverella: in queste situazioni, come detto, lo strato arbustivo creato dalle ginestre è protettivo per il bosco (riparo da venti freddi e disseccanti, mantenimento di condizioni di temperatura e umidità favorevoli all’interno della foresta).

Possiamo trovare anche altri tipi di ginestreti (i più folti e rigogliosi) sui terreni agricoli abbondati più di recente: ad essi si accompagna la flora descritta nell’ambiente n.2 “Aree agricole e sub urbane”.

Talvolta i ginestreti sono soggetti ad incendi che possono essere accidentali o dolosi; dopo il passaggio del fuoco rinasce con rapidità lo strato erbaceo a brachipodio (il cui apparato radicale riesce a sopravvivere agli incendi) e le ginestre riescono a rigenerarsi ricacciando nuovi getti dalla base.

Dove i ginestreti vengono bruciati periodicamente non sarà possibile l’evoluzione spontanea verso il bosco di roverella (la velocità di ricaccio e crescita non è sufficiente alle roverelle per insediarsi ed il progressivo impoverimento del suolo ne limiterà sempre più lo sviluppo).

In ambienti caratterizzati da climi più freschi e suoli acidi è presente la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius).

Ginestra (Spartium junceum): è migliorativa del terreno ed è pianta pioniera per colonizzare terreni poveri ed esposizioni difficili. È una specie autoctona molto utilizzata per i recuperi ambientali, le sistemazioni di versante, e nelle opere di ingegneria naturalistica dove svolge anche una ottima funzione come pianta ornamentale.

Le ginestre erano piante assai gradite dagli antichi popoli Romani e Greci, coltivate soprattutto con l’intenzione di attirare le api, al fine di ricavarne un ottimo miele.

L’afilia (mancanza di foglie) va analizzata in duplice chiave interpretativa: se da un lato la scarsità di foglie protegge la pianta da una possibile perdita eccessiva di acqua, dall’altro potrebbe costituirne un pericolo. Le foglie sono adibite alla funzione clorofilliana e rappresentano la zona in cui vengono raccolte ed elaborate le sostanze nutritive indispensabili allo sviluppo della pianta: quando questa funzione viene a mancare, la pianta va in sofferenza e muore. La natura, però, ha trovato un rimedio: la funzione clorofilliana delle foglie è delegata quasi completamente al fusto che, anziché esser marrone assume un colore verdastro, dimostrazione della sua “nuova” funzione fotosintetica.

I semi di questa ginestra sono velenosi per la presenza di citisina (alcaloide), molecola ancor più tossica della sparteina; ad eccezione dei semi – tossici – le altre parti della ginestra sono sfruttate per le capacità lassative e diuretiche (impiego popolare); in modo analogo, la tradizione insegna di utilizzare la pianta intera (fatta eccezione per i semi) per favorire la secrezione urinaria ed alleggerire problemi di natura reumatica.

Ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius): la sua fioritura in maggio-giugno colora i margini dei boschi e i pendii più freschi di un lucente giallo-oro. I rami eretti ed arcuati sono verde scuro e portano minuscole foglie verdi che si confondono con loro.

Il nome di ginestra dei carbonai deriva dall’uso tradizionale dei suoi rami che, grazie alla loro scarsa infiammabilità, posti sulla cima delle cataste di legna circondate dalla terra che formavano le carbonaie, consentivano di bruciare lentamente per una miglior qualità del carbone prodotto.

I carbonai usavano i suoi rami per costruire il tetto delle loro capanne, nei boschi dove in estate lavoravano.

Questa specie arbustiva viene coltivata anche a scopo ornamentale per la sua abbondante fioritura e la sua rusticità e come per tutte le ginestre viene usata per il consolidamento di scarpate e pendii. Dal fusto si può ricavare una fibra tessile per la realizzazione di indumenti. La pianta può addirittura fornire alcuni prodotti utilizzati in sostituzione della canapa e di alcune fibre naturali come il lino e la juta. Dalla paglia residuata è possibile ricavare anche una buona cellulosa; dalle fibre del fusto si ricavano cesti, scope, ed il suo legno elastico veniva usato per fabbricare balestre.

Dai suoi fiori si possono ottenere sostanze coloranti e repellenti; essi rappresentano anche l’unica parte commestibile di questa pianta, che possono essere usati come sostituti dei capperi o aggiunti ad altre verdure nelle insalate.

Il seme tostato è un surrogato del caffè. Si consiglia un uso moderato di questa pianta in quanto può essere tossica.

Secondo la medicina popolare, questa pianta ha le seguenti proprietà medicamentose: antiaritmica (regola l’azione del cuore); antireumatica (attenua i dolori dovuti all’infiammazione delle articolazioni); cardiotonica (regola la frequenza cardiaca); catartica (proprietà generiche di purificazione dell’organismo); diuretica (facilita il rilascio dell’urina); emetica (utile in caso di avvelenamento in quanto provoca il vomito); vasocostrittrice (restringe i vasi sanguigni aumentandone la pressione).

Tra i boschetti xerofili di roverella è facile vedere volare in estate il podalirio (Iphiclides podalirius), tra le più grandi e appariscenti farfalle italiane. Questa specie ha ali di circa 7 cm, caratterizzate da una colorazione giallo chiaro e strisce trasversali bruno-nerastre. Le ali posteriori hanno inoltre tipici ocelli azzurri e uno arancione, per confondere eventuali predatori; terminano entrambe con due code appuntite. Il bruco, verdastro con piccole macchie marroni sparse, si alimenta prevalentemente su pruni selvatici o biancospino.

Un altro affascinante abitante dei boschetti è l’upupa (Upupa epops), che si può ritrovare anche nelle fasce più fitte di vegetazione. Questo meraviglioso e ben distinguibile uccello migratore (passa l’inverno in Africa) deve il suo nome al canto tipico, descritto in maniera onomatopeica. Il suo becco lungo e leggermente arcuato ci suggerisce invece la sua dieta: vermi e insetti ricercati a terra, dove è più facile avvistarla. L’aspetto “sfarfallante” del volo e la livrea dell’upupa completano il riconoscimento in maniera definitiva: corpo color marrone chiaro e nero con ali a strisce bianche oltre all’inconfondibile cresta, che può essere ripiegata all’indietro o eretta, a formare una sorta di ventaglio.

La capinera (Sylvia atricapilla) costruisce il nido al sicuro tra i cespugli, dove sta riparata cantando (è più facile ascoltarne il canto più che osservarla!). La capinera è un piccolo uccello dall’aspetto tozzo, con piumaggio grigio-bruno e la testa nera; nelle femmine il piumaggio è leggermente più chiaro e il capo è color marrone.

Tra i sentieri assolati e i cespugli di ginestra è facile imbattersi nelle riconoscibili fatte della volpe (Vulpes vulpes): caratterizzate dalla punta terminale “a ciuffo” e dalla presenza al loro interno di diversi resti vegetali come semi o bucce, oltre a elitre di coleotteri, peli e ossa di piccoli mammiferi, gli escrementi di volpe ci raccontano tanto sulla dieta di questo animale. Infatti seppur classificata come carnivoro e in possesso di una perfetta dentatura adatta al consumo di prede, non disdegna approvvigionamenti vegetali nella sua dieta, specialmente in estate.

Uniformemente distribuita sul territorio, la volpe è un’ottima scavatrice di tane, dove alleva una media di 4 piccoli all’anno. La sua livrea marrone rossastra in estate, che tende al grigio in inverno, costituisce una caratteristica ben visibile, che permette di riconoscere immediatamente questo animale.

I percorsi che attraversano questi ambienti

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