M5S, per governare col Pd serve un ammutinamento dei dem

Un governo tecnico a guida Di Maio con l’appoggio esterno di un Pd derenzianizzato: scenario fantascientifico. Le liste, infatti, le fa il segretario

(Foto: Lapresse)

Un governo tecnico a guida Luigi Di Maio con l’appoggio esterno di un Pd derenzianizzato. Questo, secondo alcune ricostruzioni della Stampa diffuse negli ultimi giorni, potrebbe essere lo scenario gradito al Movimento 5 Stelle. Per meglio dire, la strada obbligata nel caso – molto probabile – in cui la lista risultasse la più votata alle prossime elezioni di marzo. Come noto, col Rosatellum Bis che premia le coalizioni ottenere un pur clamoroso risultato non garantisce la maggioranza parlamentare. Non fosse altro che per la distribuzione proporzionale di due terzi dei seggi e per la complicata sfida nei collegi uninominali per il restante terzo. Neanche una percentuale intorno al 40% - elevatissima e che nessuno sondaggio ritiene alla portata di alcun partito – assicurerebbe la guida del Paese.

Dunque Di Maio e i suoi sono costretti a sganciarsi dalla spietata propaganda elettorale a iniziare a lanciare segnali. Anzitutto al Quirinale e poi all’unico possibile partner: non è infatti detto che un eventuale supporto della Lega, stimata intorno al 14/15%, basterebbe ad avere i numeri a Montecitorio e a Palazzo Madama. Ma è possibile che, cinque anni più tardi, M5S e Pd si siedano allo stesso tavolo, stavolta lontani da sua santità lo streaming, e ne escano con l’accordo per un esecutivo a Cinque Stelle? La scommessa, lanciata un minuto dopo le elezioni siciliane, è che il Pd faccia fuori il suo segretario Renzi. L’ex sindaco di Firenze ed ex premier sarebbe, sempre secondo le ricostruzioni, il vero ostacolo al dialogo e all’alleanza. Mentre da Liberi e Uguali la porta sembrerebbe aperta. D’altronde, c’è sempre Pier Luigi Bersani di mezzo: l’umiliazione nazionale del 2013 non dev’essergli bastata.

Dopo il voto tutto cambierà e tutto sarà possibile” pare la posizione di Di Maio. Eppure il prezzo di un’alleanza con una qualsiasi formazione sarebbe gigantesco, per i grillini. Che bastino Renzi e Berlusconi fuori gioco – scenario fantascientifico in entrambi i casi – ad aprire la trattativa con i dem e i forzisti può forse essere vero: difficile, tuttavia, che il 30% degli elettori che voterà M5S possa accettare una simile svolta governista. Ma, ancora prima, sarà il tentativo a sbattere contro un muro di gomma: le liste della parte proporzionale così come i candidati all’uninominale saranno decisi, oggi più di ieri con la fuoriuscita di Speranza, D’Alema e Bersani, proprio da Renzi. Complesso pensare a un gruppo parlamentare che, un giorno dopo l’elezione, possa ammutinarsi contro il segretario-padrone. In Forza Italia, invece, di padrone ce n’è da sempre uno solo.

Dunque gli scenari che si aprono per un M5S che dovesse risultare primo partito e ricevere un eventuale incarico dal presidente Sergio Mattarella sarebbero due. Primo: sondare il Pd e porre la questione Renzi. Ma il problema non sarebbe la partecipazione al governo dell’ex segretario, piuttosto la sua permanenza alla guida del partito. Su quello sono giustamente gli elettori e i simpatizzanti che decidono, votando alle primarie, non i desiderata di Di Maio. Resterebbe solo la strada di un ritiro dalla politica dell’ex presidente del Consiglio, oggettivamente impraticabile. Secondo, minacciare i parlamentari appena eletti di bloccare ogni trattativa per tornare al voto in breve tempo, rimettendo in discussione i loro seggi e invitandoli così a boicottare il propri segretario.

Insomma, per governare col Pd a Di Maio servirebbe una rivoluzione che estrometta politicamente Renzi. Direzione complicata anche se le cose, ai dem, dovessero andare particolarmente male.