Italia e case chiuse, cosa dicono i dati sulla prostituzione

Che dimensioni ha il fenomeno in Italia, e come viene regolato nel resto d'Europa? Dopo la proposta di Matteo Salvini sulle case chiuse abbiamo deciso di fare un punto

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Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, in un post su Facebook ha proposto di “regolamentare e tassare la prostituzione come nei paesi civili, riaprendo le case chiuse”: un’affermazione che merita di essere sottoposta a fact check.

L’idea ha senso? E qual è la situazione in Italia o nel resto d’Europa? La prima cosa da sottolineare è che nel nostro paese la prostituzione in sé non è reato. Lo sono piuttosto, in base alla legge Merlin del 1958, attività come il favoreggiamento o lo sfruttamento della stessa da parte di persone terze, così come appunto anche le case chiuse.

Detto questo, le migliori stime oggi disponibili indicano che la spesa complessiva degli italiani in questo campo si aggira da anni intorno ai 4 miliardi di euro: poco meno di un terzo del mercato totale della droga, per fare un confronto.

Come spiega l’Istat, da cui arrivano queste statistiche, “la disponibilità di diversi studi e informazioni sul fenomeno consente di assumere che in Italia sussista una significativa produzione interna del servizio, che si ipotizza essere offerto prevalentemente da residenti (indipendentemente dalla nazionalità italiana o straniera)”.

Per arrivare a stimare le dimensioni del fenomeno, “la metodologia di misurazione poggia sulla stima preliminare del numero di prostitute (distinte per tipologia del servizio: in strada, appartamento e night club), e dalla attribuzione a esse di un numero di prestazioni giornaliere e di un numero di giornate lavorate. L’elaborazione di queste informazioni consente di determinare il numero complessivo delle prestazioni offerte sul mercato interno. Il valore del servizio offerto è determinato utilizzando i prezzi praticati in base alla tipologia del servizio”.

I prezzi richiesti per le diverse prestazioni, d’altronde, sono stati raccolti dal Codacons, che ha effettuato un’indagine campionaria a Milano, Roma e Napoli. C’è da augurarsi che gli autori materiali della ricerca sul campo abbiano ben chiarito a fornitrici e fornitori di tali servizi la ragione – puramente scientifica – delle loro dettagliate domande.

A un mercato di tali dimensioni non corrisponde affatto un’attività investigativa, poliziesca o giudiziaria significativa. Le leggi in proposito non vengono tirate in ballo quasi mai, tanto che denunce per sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione son rarissime: in effetti diffuse tanto quanto quelle per omicidio o mafia.

Sono pochi anche i detenuti e le detenute condannati per istigazione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione. Si tratta di appena qualche centinaio in tutta Italia nel 2016, su una popolazione carceraria complessiva di circa 138mila persone. Di questi, la fetta più ampia è costituita da detenuti per reati legati alla droga, circa un terzo dei quali stranieri, seguiti da rapine, furti, ricettazione e lesioni.

In sostanza, nonostante l’ampiezza del fenomeno è come se le leggi in materia non esistessero.

Se i politici fanno promesse elettorali, è perché a torto o a ragione si aspettano di ricavarne voti alle urne. Ma cosa ne pensano davvero gli italiani? Purtroppo di sondaggi d’opinione sul tema non ne sono stati realizzati molti, soprattutto negli ultimi anni. L’ultimo che è stato possibile reperire risale al 2014, condotto dalla società Ferrari Nasi & Associati.

In generale, l’opinione pubblica sembra nettamente in accordo con il depenalizzare del fenomeno. Il favore maggiore ha riscosso l’affermazione secondo cui “le prostitute dovrebbero pagare le tasse come tutti”, seguita dall’idea che col riaprire le case chiuse ci sarebbe più sicurezza igienica per le prostitute e i loro clienti.

Appare di nuovo ampiamente accolta, anche se leggermente meno, la frase secondo cui la prostituzione libera e controllata dallo Stato toglierebbe risorse alla malavita. Più controversa – ma che comunque ha trovato due italiani su tre almeno abbastanza d’accordo – l’idea secondo cui ognuno deve essere libero di scegliere come vivere la propria vita, anche prostituendosi.

Dal punto di vista legale, rispetto agli altri paesi europei l’Italia rappresenta più la norma che l’eccezione. A parte in Russia, come nel nostro caso in nessuna delle grandi nazioni del continente la prostituzione è vietata. Ne esistono però diverse che hanno adottato un approccio differente, cercando – in varie gradazioni – di riportare il fenomeno sotto il controllo dello Stato invece di fare finta di nulla.

Una via di mezzo fra proibizionismo e legalizzazione è quella di Spagna e Austria dove, pur con qualche contorsione legale nel caso del paese iberico, sono in sostanza consentite le case chiuse ma non il favoreggiamento. All’altro lato dello spettro troviamo invece Germania, Grecia e Olanda, in cui questa attività è legale in molti suoi aspetti purché, s’intende, tutte le parti in causa siano adulte e consenzienti.

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