Quanto sono efficaci le campagne elettorali? La risposta della scienza

Rispondere non è facile, ma nel corso degli ultimi anni alcune ricerche hanno provato a tracciare il profilo di una campagna di successo, lanciando qualche indizio agli addetti ai lavori

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(foto: Getty Images)[/caption]

Chi vincerà lo sapremo dopo il 4 marzo. Per ora possiamo limitarci a confrontare i programmi di partiti e coalizioni delle prossime elezioni politiche in materia di diritti civili, di innovazione, economia e lavoro, ambiente ed energia o su scienza e salute, e continuare a fare da spettatori – subire verrebbe da dire a tratti – il clima da campagna elettorale. Stimare gli effetti che queste ultime avranno sulle intenzioni di voto non è semplice, ma esiste una notevole letteratura sociopolitica, ma anche di marketing, che si è già interrogata in materia, visto anche la posta in ballo. Quanto e come le campagne elettorali influenzano davvero le intenzioni di voto?

Risposte certe, come accennato, non esistono, e in parte perché ogni campagna, come ogni elezione, fa storia a sé, così come il tessuto sociale, le condizioni, e la popolazione dei singoli paesi in cui si tengono. Ogni campagna è al tempo stesso fatta di tanti pezzi, le cui prove di evidenza nel portare gli elettori alle urne o nel convincerli a votare per questo o l'altro candidato sono parziali, separate, estrapolate in tempi e contesti diversi, e abbracciano campi diversi: dalla psicologia, all'economia, al marketing, alle neuroscienze, alla tecnologia e, ovviamente, alla comunicazione. A ciò va aggiunto il fatto che non è detto, appunto, che le risposte degli statunitensi alle campagne elettorali siano le stesse degli italiani, per esempio, ma sfogliare i risultati di ricerche compiute sul tema potrebbe essere comunque un buon esercizio di riflessione.

Volantini e pubblicitàSenza guardare troppo lontano, nel tempo, qualche spunto potrebbe fornirlo lo studio di due ricercatori di Stanford e dell'Università della California di Berkeley in cui sostanzialmente si cercava di stimare il potere persuasivo di alcune strategie da campagna elettorale, passando in rassegna i risultati ottenuti in una cinquantina di esperimenti. Il risultato? Telefonate, email, volantini, lettere e pubblicità porta a porta – in sostanza attività a contatto con il pubblico e pubblicità – hanno un potere persuasivo pari a zero. L'efficacia di tutti questi interventi sembra piuttosto emergere in pochi casi, scrivevano gli autori: quando i candidati politici assumono posizioni impopolari, quando le campagne investono molto nell'identificare gli elettori persuasibili o quando l'avvicinamento avviene molto prima dell'election day, anche se poi in prossimità delle elezioni quest'opera di persuasione si perdeva.

Gli stessi autori dello studio, Joshua Kalla e David Broockman, dopo la presentazione del paper e l'uscita dei primi articoli che smontavano l'efficacia delle campagne elettorali erano però tornati sul tema con un articolo chiarificatore sulle pagine del Washington Post. Nell'occasione – oltre a precisare come gli aspetti da loro indagati riguardassero solo una parte delle complesse strategie che costituiscono una campagna, comprese le (grandi) influenze di parenti e amici e i media, più o meno social– aggiunsero, per esempio, alcuni corollari alla loro ricerca, suggerendo come le campagne funzionassero meglio quando i simboli dei partiti non c'erano, per esempio durante le primarie e le votazioni referendarie. E ancora: le campagne efficaci erano quelle nuove, originali, creative, purché fossero in qualche modo testate. Scrivevano infatti Kalla e Brookman: “Per avere successo, le campagne hanno bisogno non solo di provare nuove idee ma anche di testare rigorosamente quelle che possono funzionare”, con il rigore dei trial randomizzati tipici della ricerca clinica.

Faccia a facciaSolo qualche anno prima però alcuni studi erano arrivati a conclusioni in parti contrastanti. Nel 2012 uno studio della George Mason University, interessato a capire quali elementi delle campagne elettorali avessero potere persuasivo, suggeriva come il contatto con la gente, come quello porta a porta di impronta decisamente americana, fosse una buona carta da giocarsi in tempo di elezioni, interpretabile, scrivevano gli autori, come un “costoso e verificabile” segnale di qualità. Secondo alcuni infatti “le azioni dei candidati parlano più delle parole”, aggiungendo che più che il messaggio conterebbe l'affiliazione del candidato, spiegavano gli autori.

Che le interazioni con la gente faccia a faccia fossero importanti, anche solo per l'affluenza, era noto in realtà da tempo e le ricerche che si sono accumulate negli ultimi anni non hanno fatto altro che confermarlo. Purché, ricordavano di nuovo Kalla e Brookman in un articolo pubblicato su Vox tempo fa, si tratti di interazioni di qualità e non di mera presenza. Di contro, le evidenze sull'impatto delle pubblicità in tv sarebbero più scarse: poche le evidenze a sostegno delle capacità del piccolo schermo nel mobilizzare gli elettori alle urne o verso uno o l'altro candidato, specie sul lungo termine. L'effetto di promuovere la mobilitazione sarebbe infatti controbilanciato da quello scoraggiarla in termini di affluenza, con un effetto nel complesso nullo, anche se gli spot (essere più bombardati da quella di un candidato che di un altro) potrebbero comunque di poco alterare le preferenze di voto.

I social networkE i social media? Anche in questo caso è tutt'altro che facile capire in che modo e fino a che punto Facebook & Co influenzino l'elettorato. Un buon punto di partenza è forse l'enorme studio pubblicato su Nature nel 2012, che aveva misurato il potere mobilitante di messaggi – apartitici, che invitavano solo a ad andare a votare – su Fb in 61 milioni di persone durante alcune elezioni americane. Il risultato, raccontavano i ricercatori, mostrava che “i messaggi influenzano direttamente l'auto-espressione politica, la ricerca delle informazioni e il comportamento reale di milioni di persone”, aumentando l'affluenza alle urne. Con un effetto a cascata, che si ripercuoteva sugli amici e gli amici degli amici: anzi l'effetto di trasmissione era maggiore di quello diretto dei messaggi. Se invece cercassimo in letteratura evidenze in materia di influenza o meno sui voti si scopre che secondo alcune ricerche (riferite alle elezioni britanniche) la presenza dei candidati su Twitter e l'attività social sostenuta possono sì modificare, anche se di poco, la preferenza alle urne, ma in maniera significativa, suggerendo addirittura che possano spingersi oltre le cosiddette echo chambers. D'altronde, alcuni studi, mostrano come la socializzazione di contenuti politici aumenti la possibilità di partecipazione politica, anche se altri suggerivano che le cose, specie tra le popolazioni più giovani, potrebbero essere agli antipodi. Riassumere gli effetti che i social media, come attività dei candidati, dei loro sostenitori, delle loro cerchie, le news e fake news afferenti hanno sull'ago della bilancia delle elezioni è forse materia per un libro, o più.

Riferendosi a strategie minori, un effetto piccolo, ma significativo e potenzialmente influente, lo avrebbero anche le pubblicità per strada, ha mostrato ancora uno studio sui cartelloni a terra (i cosiddetti lawn signs), tipicamente americani. Ovvio (ovvio?) pensare poi che il successo di una campagna elettorale possa dipendere dall'allocazione delle risorse: se ingenti la scelta di diversificare potrebbe premiare, se scarse ragionevole pensare, come riassume anche Maria Laura Sudulich dell'University of Kent in un documento sul tema, di puntare su una o due strategie. Sì, ma quali?