Renzi liberi l'ostaggio Pd e fondi un partito ad personam

Dopo due mesi di silenzio l'ex segretario torna a parlare. Ma oltre le proposte, il problema rimane un partito svuotato dall'interno e la sua stessa figura. Ultimi colpi di teatro e poi voto?

L’idea che se il Paese è fermo da due mesi intorno a un balletto che ruota su due movimenti (il veto su Berlusconi, Di Maio inamovibile alla testa di un qualsiasi governo) la responsabilità sia del Pd è abbastanza paranoica. Così come che sia di Matteo Renzi. D’altronde è pur vero che Renzi non se n’è mai andato. Continua a credere nella strategia di breve periodo: zittirsi per un paio di mesi e poi rientrare in pompa magna, meglio se in tv, per bruciare la gramigna che nel frattempo è cresciuta fra i pavimenti di largo del Nazareno.

D'altra parte, come si poteva credere che col controllo dell’80% dei gruppi parlamentari l’ex sindaco di Firenze potesse contare meno di un qualsiasi “segretario reggente”? Diciamoci la verità: il punto non è “l’omicidio politico” di Maurizio Martina per evitargli fughe in avanti nell'eventuale trattativa con Movimento 5 Stelle. Il punto è che Martina non è mai esistito: era un’ottima e anonima spalla per Renzi segretario. Fine.

Ma dei giochi di potere del Pd il Paese non ne può più. Sul tavolo, in questi giorni, si viaggia stretti fra l’eco delle parole di Renzi a Che tempo che fa, tre sere fa, la schiacciante vittoria del leghista Massimiliano Fedriga in Friuli-Venezia Giulia e le ultime mosse di Matteo Salvini, deciso a chiedere un preincarico – ma il preincarico non si chiede, lo assegna il capo dello Stato – e a chiudere la pantomima iniziata il 4 marzo con un coup de théâtre neanche troppo originale ma, c’è da ammetterlo, con una certa quota di rischio. Ora che i forni sono entrambi spenti accettare appunto un preincarico matematicamente destinato al fallimento ma che lo incoroni, invece di bruciarlo, come quello che ci ha provato per davvero. Ribaltando le carte in tavola, strappando a Di Maio l’argomento del “sono loro che non vogliono” e presentandosi al voto con lo scacco matto in serbo sulle ceneri del centrodestra.

In tutto questo la posizione di Renzi può non piacere ma, per come è messo il Paese (e per come, in parte, ce l’ha messo il Rosatellum Bis che porta il nome dell’ex capogruppo dem alla Camera ma anche il netto rifiuto dei cittadini per la riforma costituzionale) ha un senso. Un governo istituzionale, come ha proposto, per riscrivere le regole elettorali, uscire dal collo di bottiglia, traghettare il Paese verso i numerosi appuntamenti internazionali e votare nel giro di un anno o due sperando in risultati più chiari non pare una proposta sovversiva. Il problema vero è che sia Renzi a proporlo.

Sembra una contraddizione ma è un micidiale leit motiv della comunicazione politica di centrosinistra: sottovalutare, spesso in prima persona, la fonte del messaggio in favore di un eventuale contenuto, magari condivisibile. Non a caso Di Maio ha subito “scartato” dalla fumosa proposta dell'esecutivo istituzionale, che torna a dipingere Renzi come il beffardo toscano attaccato alla poltrona, e ha scelto un messaggio chiaro e forte: “Va rivisto il Jobs Act, vanno rifondati i centri per l’impiego e va assicurata una pensione dignitosa a chi ha lavorato una vita con la revisione della Fornero e la pensione di cittadinanza – ha scritto fra gli ultimi interventi su Facebook, molti dello stesso tenore – *sono cose di buon senso che si potevano realizzare e noi ci abbiamo provato per 55 giorni con tutte le nostre forze. I partiti si sono rifiutati per tenersi Renzi e Berlusconi. Andiamo al voto il prima possibile!*”.

Il Pd è stato ormai quasi del tutto svuotato dall’interno: Renzi è destinato a uscirne, prima o dopo, per portare a compimento un percorso avviato ormai cinque anni fa, ben prima delle macronate alla francese, con un suo partito personale. Non avverrà subito, perché sarebbe insostenibile anche per l'onnipresente senatore di Scandicci, ma potrebbe capitare fra qualche mese, in vista delle nuove elezioni se ci si dovesse in effetti arrivare. Se vuole dare un futuro al centrosinistra Renzi deve fare Renzi, rassegnarsi a un consenso minoritario ma forte, e liberare l'ostaggio Pd, d'altronde ormai debilitato dopo le sue cure da cavallo. Viceversa condannerebbe se stesso e il partito – che continua a ospitare posizioni profondamente diverse ma in gran parte di secondo piano – a un sostanziale e duraturo ciclo di insignificanza.