Qualificata ma rifiutata "perché nera", Fatima e i pregiudizi di un paese per vecchi

Perde il lavoro a causa degli insulti in una casa di riposo. Inutile chiedere giustizia a un governo che ha giocato la carta dell'immigrazione in campagna elettorale. I giovani come Fatima sono abbandonati a loro stessi

Fatima Sy (foto: Etv Marche)

Certo l’integrazione bisogna cominciare a praticarla dai banchi di scuola. Difficile, se non impossibile, cambiare le carte in tavola nelle persone molto anziane, ormai (spesso tristemente) radicate nelle convinzioni e nei pregiudizi. Sempre che siano stati davvero gli ospiti a chiederne l’allontanamento: nessuno avrebbe mai detto nulla in faccia a Fatima Sy, una 40enne senegalese in prova come operatrice in una casa di riposo di Senigallia, in provincia di Ancona, che non si è vista proporre il contratto a tempo determinato che si aspettava.

Così riportano le cronache, in particolare il Corriere Adriatico, dove si titola al solito un po’ troppo pesantemente di “rivolta contro l’assistente”: la donna, che risiede in città da 15 anni e non vede i figli da 8, sarebbe stata “derisa da alcuni anziani per il colore della pelle”, così da essere allontanata dall’Opera Pia Mastai Ferretti, nel centro storico. Anche se dalla cooperativa che la gestisce, la Progetto solidarietà, assicurano che verrà collocata in un’altra struttura. Perché, evidentemente, i pochi giorni di sostituzione erano andati bene. E il problema sarebbero stati appunto i commenti degli anziani che avrebbero fatto pessime battute anche “se non con cattiveria”, si legge nell’articolo.

Il punto, però, è che di fronte a lei di commenti simili non ne sono stati fatti (“Io di battute di questo tipo nei miei confronti non ne ho sentite anche se mi avevano messo in guardia altre operatrici”). Fatto sta che è il terzo impiego perso dalla donna negli ultimi mesi: in un hotel le hanno preferito un’italiana e un’impresa di pulizie ha rinunciato alle sue prestazioni perché pare che in un condominio non gradissero la presenza di straniere. Dunque il problema, al di là degli anziani ridanciani e ignoranti, è enormemente più vasto. Casi del genere, come quello di un albergo della riviera romagnola che la scorsa estate ha liquidato all'ultimo e via sms un italiano di colore, o il più recente di un pazeiente, a Cantù, che si era negato alle cure di un medico originario del Camerun, popolano le cronache. E dipingono l’incapacità del tessuto nostrano di garantire parità di condizioni.

Di più: negli ultimi anni, certo non senza il contributo degli avvelenatori di professione che hanno fortemente lucrato alle urne squadernando assurdità come la “sostituzione di popoli”, dev’essere passato sotto pelle il concetto “prima gli italiani”. Quando, se le carte sono in regola, il punto dovrebbe essere “prima i più bravi”. Quando la nazionalità diventa elemento discriminante siamo già, volenti o nolenti, in un sistema pienamente razzista.

Se nei casi precedenti i datori di lavoro di Fatima si erano nascosti dietro un diniego generico, stavolta la cooperativa ha preferito la chiarezza. Quando, forse, avrebbe dovuto preferire la fermezza: confermare la donna oltre le "opinioni" di qualche anziano nostalgico o spaventato e metterla alla prova sulla concretezza. “Comprendo che sia rimasta male per quanto accaduto e mi dispiace molto – spiega Paola Fabri, presidente della cooperativa – ma non la lasceremo sola. Abbiamo valutato che non fosse la situazione ideale per lei all’interno della casa di riposo. È una ragazza giovane, carina, molto affabile e le esternazioni di qualche ospite, sicuramente non dette con cattiveria, l’avrebbero potuta mettere a disagio. Non ci sembrava l’ambiente adatto a lei. Non abbiamo dato seguito al suo incarico lì solo per tutelarla”.

Diciamo che forse sarebbe stato il caso di valutare insieme: l’eccesso di tutela è esso stesso un canale di discriminazione. Un buon modo di tutelare Fatima - e insegnare qualcosa agli ospiti - sarebbe stato confermarle l’impiego. Speriamo che le promesse siano mantenute: “Abbiamo altre strutture sempre in città dove potrà lavorare – aggiunge la presidente – ci era già accaduto in passato con una ragazza del Camerun che aveva avuto problemi per questo motivo poi, appena assunta in ospedale come infermiera, è andata via”.

Al di là della questione specifica, ciò che pare stia germogliando fra gli interstizi di cinismo di questo Paese non è più un generico razzismo. Si tratta, al contrario, di qualcosa di sistematico e subdolo: della progressiva affermazione di una scala di valori e gerarchie completamente insensata che mette gli ultimi contro gli ultimi. Un meccanismo dove in pochi hanno il coraggio di sfidare i pregiudizi provando con i risultati, e non con il passaporto, la bontà di una scelta.