Stampa, dopo i finanziamenti il M5S vuole influenzare la pubblicità

Mentre i suoi europdeputati votano a favore delle sanzioni per l'Ungheria di Orbán, Luigi Di Maio intende bloccare le campagne delle aziende di Stato

Il Movimento 5 Stelle torna ad attaccare la stampa. C’è la solita abolizione del finanziamento pubblico ai giornali, ormai riservato a poche categorie di quotidiani e periodici: si va da quelli editi da cooperative giornalistiche a quelli in cui la maggioranza è controllata da coop fino alle testate pubblicate da fondazioni o enti senza fini di lucro, minoranze linguistiche, periodici per non vedenti e ipovedenti, associazioni dei consumatori e pubblicazioni per l’estero.

L’ultima legge sul tema è quella approvata nel 2016 su impulso dell'ex sottosegretario Pd Luca Lotti a cui ha fatto seguito un decreto legislativo dell’anno scorso in cui è stata ridisegnata la disciplina dei contributi diretti. Al primo posto fra chi incassa c’è Avvenire con quasi 6 milioni di euro seguita da Italia Oggi con 4,8, Libero con 3,7 e il Manifesto con 3 milioni e via a scorrere, con alcuni giornali legati ai partiti.

I grandi gruppi sono ovviamente esclusi, non hanno mai ricevuto questo genere di contributi. Sono dati del 2016, cioè gli ultimi disponibili, ma l’elenco relativo alle cifre del 2017 sarà diverso perché proprio in base alla legge Lotti ne rimarranno definitivamente esclusi i giornali politici e di partito.

Poi ci sono i (residui) contributi indiretti – la formula di sostegno all'editoria più diffusa in Europa, per esempio in Germania o nel Regno Unito – che ruotano intorno a una serie di obblighi o agevolazioni. Dunque non di versamenti diretti in denaro. Uno dei casi più citati è per esempio l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare degli avvisi di gara e aggiudicazione sui quotidiani nazionali e locali. Oppure i rimborsi telefonici per gli editori.

Molti altri contributi indiretti, come le agevolazioni postali per le società editoriali, è stato cancellato o rimodulato da tempo o previsto per pochi anni, come il credito d'imposta sull'acquisto della carta. Anche questo è un fronte sul quale il Movimento punta da tempo e su cui il sottosegretario all’Editoria Vito Crimi è tornato più volte nei mesi scorsi. Insomma, nessuna novità rispetto all'obiettivo di tagliare anche sul fronte dei contributi indiretti.

Adesso l’offensiva sulla stampa fa un passo avanti e punta direttamente alle pubblicità, linfa vitale del settore, allineandosi a quanto accade per esempio in Polonia. O, curiosamente, in quell’Ungheria liberticida guidata da Viktor Orbán verso la quale, proprio oggi, gli eurodeputati pentastellati stanno votando a favore delle sanzioni. Nessuna contraddizione sembra spaventarli.

Luigi Di Maio ha detto ieri che nella legge di bilancio ci sarà un ulteriore taglio dei contributi indiretti e che il governo sta preparando una “lettera alle società partecipate di Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali (con investimenti pubblicitari spropositati e dal dubbio ritorno economico) per evitare che si faccia informazione sui loro affari e per pilotare le notizie in base ai loro comodi”. Non si capisce se ce l’abbia quasi più con le partecipate che con i giornali. In ogni caso, ci sono dentro colossi come Leonardo, Poste, Enav, Eni, Enel, Rai, Cassa Depositi e Prestiti o Sogei.

Si tratta di un inedito e scivoloso fronte: la volontà di influenzare il mercato pubblicitario è grave perché non attiene alla libera decisione governativa di sostenere in modo più o meno solido un settore vitale per la democrazia ma, appunto, costituisce un intervento a gamba tesa in quegli stessi equilibri democratici. Oltre che sui meccanismi commerciali che tengono in vita le testate. Tanto più se poi, contestualmente, si spera che “gli editori siano puri”, cioè che guadagnino solo da quella pubblicità.

Com'è possibile che gli editori si affranchino dai business diversi da quello editoriale se si restringe ancora di più il perimetro del giro d'affari della pubblicità? La considerazione fa d’altronde il paio con un’altra pesantissima dichiarazione, stavolta del vicepremier Matteo Salvini, che ha spiegato come “la libertà d’informazione sia qualcosa di molto soggettivo”.

Dovrebbe far riflettere, come racconta oggi Repubblica intervistando Piotr Stasinski, vicedirettore del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, che le pressioni sui media dopo l’arrivo al potere del partito Diritto e giustizia nel 2015 siano iniziate proprio dalle aziende a controllo statale che “hanno ritirato le inserzioni dai media liberali come la rete tv privata Tvn, i settimanali Newsweek e Politika” e anche la Gazeta, spostandole sui media più affini alle linee di governo. E anzi moltiplicandole. Una strategia che si è sviluppata in parallelo all’occupazione della tv e della radio pubblica e alle intimidazioni alla libera informazione.

Un primo passo che il Movimento 5 Stelle sta per compiere anche in Italia: per il momento, chiedendo alle partecipate di stringere i cordoni della borsa. Un domani, magari, ricominciando a indirizzarli verso gli editori che si dimostreranno più sensibili, per così dire, alle cause pentastellate.