Se la Lega non riesce a sbarazzarsi di Bossi

Il senatùr non sarà querelato dal partito e il processo a Milano finirà in un pugno di contraddizioni. Nel frattempo, chiederà i servizi sociali per i suoi insulti all'allora presidente Giorgio Napolitano

Umberto Bossi, scrissero i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado al processo The Family, è stato “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” della Lega Nord. Denaro proveniente “dalle casse dello Stato” e utilizzato senza ritegno “per coprire spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”. The Family, appunto, come la cartellina che il tesoriere Francesco Belsito portava sempre con se. Per questo il senatùr è stato condannato nel luglio dello scorso anno insieme al figlio Renzo e all’ex dirigente rispettivamente a 2 anni e 3 mesi, 1 anno e 6 mesi e 2 anni e 6 mesi.

Il processo d’appello, e dunque le condanne comminate l’anno scorso, è tuttavia destinato a non celebrarsi. E lo si deve alle nuove norme approvate durante gli ultimi governi di centrosinistra: per fare in modo che il processo prosegua in secondo grado la Lega dovrebbe sporgere querela per il reato di appropriazione indebita con l’aggravante contestata al suo fondatore, attualmente senatore e presidente del partito, al figlio e a Belsito. Nulla di tutto questo sembra poter accadere.

Si tratta di una contraddizione importante che cade sull’attuale segreteria di Matteo Salvini: se davvero di quel periodo – ma il processo sui 49 milioni è incardinato al tribunale Genova ed è un altro filone, a Milano si discute appunto dell’appropriazione indebita dei soldi del partito usati per questioni famigliari, dalle multe alla badante infermiera – il partito si sente vittima, perché mai far cadere nel vuoto un procedimento che individua specifiche responsabilità nella gestione di Bossi? In questo senso, c’è stato anche un cambio in corsa: all’inizio il Carroccio si era costituito davanti al gup di Milano ma nel corso dell’udienza preliminare il partito aveva poi revocato il mandato all’allora legale per rinunciare a essere parte civile, e a chiedere dunque i danni al suo demiurgo. Al contrario, nell’altra inchiesta genovese – ben più pesante in termini di immagine e di quattrini sottratti allo Stato – quel passo è stato compiuto.

Dunque entro il 30 novembre dovrebbe arrivare la querela senza la quale, in virtù dell’ultima riforma del codice penale, il processo si chiuderà per un difetto di procedibilità. E il reato, per il quale in precedenza di agiva d’ufficio, sarebbe dichiarato estinto, con le relative condanne. Un problema di meno per il vecchio e malato senatore che, in questi giorni, è alle prese con un’altra grana. Anche questa simbolicamente molto importante. Anche se per certi versi, comparata alla sguaiatezza a cui siamo stati abituati dal governo giallobruno e, prima, dalla peggior campagna elettorale di sempre, fa perfino tenerezza. Racconta non solo una Lega che non c’è più ma anche una strategia politica completamente ribaltata.

Si tratta della condanna a un anno e 15 giorni di carcere – sentenza passata in giudicato ma con un decreto di sospensione della pena firmato dal procuratore generale di Brescia – per vilipendio al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Bossi lo chiamò “terun” in un comizio del 2011.Il suo avvocato, sulle orme di Silvio Berlusconi, ha chiesto l’affidamento ai servizi sociali come misura alternativa alla detenzione. Utile sia per poter “proseguire l’attività politica a palazzo Madama” che in virtù delle condizioni di salute.

Sono due fatti molto lontani fra loro ma che raccontano plasticamente le radici, marce e disinvolte, sulle quali la Lega di oggi è cresciuta e alcuni caratteri che ancora mantiene, nonostante tutti i tentativi di prenderne le distanze: lo scarso rispetto per i ruoli istituzionali, la doppia e tripla morale di chi dava dei ladroni a mezza Italia e poi intascava 49 milioni di euro (o, a Milano, gestiva coi soldi di tutti le marachelle di famiglia), l’incapacità di chiudere col proprio passato. In fondo il 77enne Bossi, dopo tutto quel che ha combinato e quel che gli è capitato, è ancora in Senato a incassare 14.634,89 euro al mese, senza considerare le eventuali indennità di funzione. Come sempre, come da sempre, soldi nostri.