Referendum Atac, perché ha vinto il partito degli astenuti

Quorum non raggiunto. Tra scarsa informazione e poca convinzione delle forze politiche favorevoli al "Sì", la situazione rimane inalterata in una città che da anni ha nella mobilità la sua spina nel fianco

Il referendum sull’Atac e la liberalizzazione del servizio pubblico è fallito. E a vincere, per l’ennesima volta, è il partito che in questi anni continua inesorabilmente la sua ascesa, quello degli astenuti. Il dato fornirà materiale per polemiche eterne. Almeno in questa città, che di eterno ha solo l’appellativo. Perché se è vero che esiste la legittima visione politica di un servizio pubblico che deve restare in ogni suo rivolo nelle mani della collettività e ambire all’ottimo, è altrettanto vero che tutto ciò, a Roma, si concretizza e si scontra con la realtà. E i fatti dicono che dall’inizio del 2018 sono 22 le vetture andate a fuoco, mentre tra flotte vetuste, ascensori killer e scale mobili dotate di vita propria si profilano le basi per una sceneggiatura degna di un film dell’orrore.

Il tutto sullo sfondo di un futuro incerto, con un concordato preventivo (che dovrà essere approvato dai creditori il prossimo 19 dicembre), che racconta di circa 1,5 miliardi di debiti accumulati negli ultimi 8 anni. “E io pago”, direbbe il principe Antonio De Curtis, Totó. A onor del vero, anche quel 20% del servizio affidato ai privati per coprire la periferia della Capitale non soddisfa gli utenti. Appare comunque bizzarra l’idea che i romani, chiamati a esprimersi dopo 21 anni tramite un referendum cittadino, abbiano deciso di scommettere ancora una volta su un’azienda sull’orlo di una crisi di nervi.

Al netto di surrealisti, idealisti e speranzosi in un futuro migliore, il discorso si trasla sul piano politico: ha vinto il partito degli astenuti. Su oltre 2 milioni e 300 mila cittadini, in meno di 400 mila sono andati alle urne. Nessuna fila ai seggi e neanche la classica denuncia di brogli elettorali. Giusto qualche polemica, per tradizione. L’affluenza si è fermata al 16%. Il quorum fissato al 33,3% è stato fatale. Perché in pochi sono andati a votare?

Primo dato: a contrastare il referendum sono state soprattutto le forze politiche in ascesa. I partiti e i movimenti posizionati nelle parti alte dei sondaggi puntavano sull’Atac, il Campidoglio puntava sull’Atac. Secondo dato: i principali fertilizzanti dell’astensionismo di questi anni, il Partito democratico e Forza Italia, avevano invitato al . Certo, ancora una volta il Pd trova nel referendum il suo nemico peggiore, con una consultazione interna che ha fornito un’indicazione, non troppo convinta, appena dieci giorni prima del voto. Terzo dato: c’è stata una scarsa informazione. Con risorse ridotte e senza la possibilità di investire in maniera massiccia sui tradizionali canali di comunicazione, il web diventa il campo di battaglia. E ancora una volta, qualora ve ne fosse bisogno, i 5 Stelle dimostrano di essere i padroni indiscussi dei nuovi canali comunicativi.

Dulcis in fundo, quarto simpatico dato: Liberi e Uguali, il piccolo partito dalle numerose correnti in cui milita il padre delle liberalizzazioni nazionali, Pierluigi Bersani, propendeva per il No, in una sorta di processo dialettico in cui manca sempre e solo l’ultima fase: la sintesi.