Le partenze dei migranti non hanno nulla a che fare con le Ong

I dati smentiscono il ministro Salvini e molta stampa, che avevano dato la colpa alle Ong del Mediterraneo per il naufragio in cui hanno perso la vita 117 persone

Un gruppo di 47 migranti è trasferito a bordo della nave Sea Watch 3 (foto: FEDERICO SCOPPA/AFP/Getty Images)

L’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ha confermato che sono 117 i migranti morti nel primo naufragio del 2019, occorso a un gommone a circa 80 chilometri, che ha visto la morte, tra gli altri, di una donna incinta e due bambini.

Il ministro dell’interno Matteo Salvini, in una diretta Facebook, ha commentato la strage trovando tempo per accusare le Ong: “Sarà una coincidenza che da tre giorni ci sono due navi di Ong straniere al largo della Libia e gli scafisti tornano a far partire barchini e barconi che poi affondano. Se uno schifoso trafficante mette in mare questi disperati, sapendo che poi c’è chi li aiuta, allora continuerà a farlo”. Secondo Salvini – con una tesi ripresa dalle prime pagine di quotidiani a diffusione nazionale come La Verità e *il Giornale – *a causare queste morti sarebbero state le Organizzazioni non governative operanti nel Mediterraneo, colpevoli di mettere in atto un sistema che spingerebbe i migranti a imbarcarsi in traversate spesso fatali.

Cosa dicono i datiLe ricerche statistiche di Matteo Villa, esperto di fenomeni migratori che lavora per Ispi – il più prestigioso istituto italiano per le ricerche geopolitiche –  basate sui dati ufficiali messi a disposizione dalla Guardia costiera, dall’Oim e dall’Unhcr, hanno dimostrato come non c'è una relazione diretta tra il numero di partenze dalle coste libiche e il numero di operazioni di salvataggio svolte dalle Ong.

Il corpus di dati considerato da Villa è relativo al periodo gennaio 2016-aprile 2018, cioè si passa da un'attività molto densa delle Ong (il 2016 è l'anno del boom degli sbarchi) a una minimale (dopo la chiusura dei porti del governo Conte). Inserendo in un grafico le percentuali del totale mensile di migranti soccorsi dalle Ong – sulle ascisse – e le partenze dalla Libia sulle ordinate, Villa ha scoperto che il nesso sostenuto da Salvini e da molta stampa di destra semplicemente non esiste.

⛔️🚢 ONG E MORTI IN MARE. Dopo l’ennesima tragedia nel Mediterraneo centrale, al largo della Libia e di Tripoli, torna chi suggerisce che l’attività di salvataggio delle Ong provochi un aumento delle morti in mare.

I dati dicono una cosa semplice: quest’asserzione è FALSA. pic.twitter.com/PW6dogAg4x

— Matteo Villa (@emmevilla) 19 gennaio 2019

Cosa dice chi ha lavorato sul campoAlle stesse conclusioni a cui è giunto Villa, era giunto – attraverso l’esperienza sul campo – Nicola Carlone, capo del III reparto piani e operazioni del comando della Guardia costiera, che durante un’audizione parlamentare del maggio 2017 aveva detto: “La presenza delle Ong non comporta quello che viene detto un fattore di attrazione, spesso non dà impulso alle partenze. Ad esempio in questi giorni abbiamo un tempo abbastanza tranquillo, ci sono diverse unità mercantili, Ong, militari, e non sta succedendo niente. Il fenomeno migratorio è governato esclusivamente a terra, secondo modalità decise dalle organizzazioni criminali”.

La teoria secondo cui le partenze dalla Libia sarebbero influenzate dalle Ong si chiama pull factor, letteralmente fattore di attrazione. A smentirla, però, oltre alle parole di Carlone c’è anche un rapporto di Frontex, l’agenzia europea per le frontiere e le coste, del 2017 che evidenziava come il calo del 57% degli sbarchi su base annuale – avvenuto quando il titolare del ministero dell'Interno era Marco Minniti, e a Palazzo Chigi c'era Matteo Renzi – c’era già stato prima dell’entrata in vigore del codice di condotta per le Ong (la misura governativa dell'estate del 2017 che mirava a regolamentare strettamente – de facto riducendole – le operazioni delle navi del Mediterraneo). E, ovviamente, si trattava di un periodo molto precedente ai porti chiusi voluti da Salvini.

Il ruolo degli accordi con la LibiaLe ragioni del calo delle partenze, come chiaramente espresso da Carlone, vanno ricercate altrove, cioè in quello che succede “a terra”, prima che i barconi di migranti salpino. Nel caso specifico, uno degli aspetti che ha inciso sulla diminuzione degli sbarchi (e delle partenze), è stato l'accordo del 2017 tra Italia e Libia, che prevede – in cambio di aiuti economici – il blocco delle partenze dei migranti.

Un risultato che è stato raggiunto con le operazioni della Guardia costiera locale, finanziata e formata grazie agli aiuti italiani, che riporta indietro i migranti rintracciati a largo delle coste libiche. Ma anche con una pratica più spinosa e condannata dagli osservatori internazionali: l'incarcerazione dei migranti nei centri di detenzione. Centri che possono essere regolari, cioè gestiti da autorità riconosciute, o irregolari, gestiti dalle milizie (i gruppi di soldati non facenti parte dell'esercito che fa capo al governo libico, quello riconosciuto dalla comunità internazionale).

Nei centri gestiti dalle milizie è accaduto che dei migranti venissero venduti come schiavi, come testimoniato da un video della Cnn, oppure che alcuni esseri umani fossero appesi per i piedi e sottoposti a torture dai soldati irregolari, come testimonia un video diffuso dall’inviato del Corriere della Sera in Libia Lorenzo Cremonesi.

In un'inchiesta dell'agosto 2017 condotta dalla giornalista Francesca Mannocchi per Middle East Eye, una fonte della sicurezza libica dichiarava, in merito ai finanziamenti dati a chi si occupa militarmente di bloccare i barconi: "I trafficanti di ieri sono diventati le forze anti-trafficanti di oggi. Quando la luna di miele con gli italiani (gli accordi economici, ndr) finirà, ci troveremo ad affrontare una situazione ancora più pericolosa per tutti". In altre parole, attenzione ad affidarsi ai libici: potrebbe non essere la scelta più giusta.