Perché gli scafisti non sono il vero problema dell'immigrazione

A sentire i politici sembrano il primo problema per la sicurezza internazionale, ma chi sono veramente? E quanto pesano nel fenomeno del traffico di esseri umani?

Imbarcazione di migranti (crediti: U.S. navy photo by Chief Information Systems Technician Wesley R Dickey/Released - CC)

Fermare gli scafisti. Una dichiarazione che nella politica italiana sembra diventata un mantra. E che all’apparenza potrebbe giustificare qualsiasi tipo di azione o di ulteriore dichiarazione, non importa quanto discutibile. D’altronde chi potrebbe dirsi a favore degli scafisti? Nessuno, ovviamente: mettono in pericolo vite umane e favoriscono l’immigrazione illegale. Due conseguenze in realtà con pesi ben diversi.

Cerchiamo di inquadrare il fenomeno, innanzitutto. L’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, Unhcr, fornisce un’idea chiara e precisa di quanti immigrati arrivano in Italia. L’anno scorso via mare sono sbarcate circa 23370 persone (si stima che ne siano morte 1311). Un fenomeno in calo se paragonato agli anni passati. Dal 2014, il picco si è avuto tre anni fa, con 181436 arrivi.

Detto questo, cosa significa fermare gli scafisti? E soprattutto, gli scafisti sono assimilabili ai trafficanti di esseri umani? L’Unodoc, che sta per United Nations Office on Drug and Crime*,* è l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di crimine e droga. Tra i crimini oggetto della sua attività c’è anche quello definito come "contrabbando di migranti".

Non riguarda solo i cosiddetti scafisti, ma chiunque acquisisca vantaggi finanziari o di altro tipo dall’ingresso illegale di una persona in uno stato (a meno che non sia, ovviamente, cittadino o residente di quel paese). Detto in altri termini, riguarda perciò il crimine organizzato, le reti che traggono illegalmente profitto dal traffico di esseri umani. Sono organizzazioni che coinvolgono più paesi e che si riferiscono a rotte marittime, terrestri e talvolta aeree. È chiaro che la figura dello scafista è solo uno dei tasselli.

Fondamentalmente sono i pesci più piccoli della catena. Il vero controllo è in mano ad affaristi perfettamente a loro agio nel mondo del capitale e della finanza. “I maggiori responsabili non si sporcano le mani, sono per lo più invisibili e quasi intoccabili*. A scendere ci sono diverse figure con gradi differenti di rilevanza e di responsabilità”*, spiega a Wired Chiara Marchetti, docente di Sociologia delle relazioni interculturali all’università di Milano. Esperta in dinamiche migratorie, ci invita a immaginare una grande interconnessione internazionale che non gestisce solo l’ultimo tratto di traversata nel Mediterraneo. Il profitto si verifica anche nella gestione del resto dei trasporti e dei punti di lunghissima sosta (spesso traducibile in detenzione e schiavismo) all’interno del territorio africano.

Chi sono allora i famigerati scafisti? “Sono quelli che si occupano dell'ultimo passaggio, l'ultima catena dell'ingranaggio*”*, continua Marchetti. Da un punto di vista strettamente giuridico sono effettivamente criminali perché praticano concretamente il favoreggiamento dell'immigrazione irregolare. Ma se andiamo a vedere nel dettaglio, scopriamo che sono persone (spesso adolescenti) ingaggiate poco prima della partenza. Ricevono istruzioni minime su come condurre l'imbarcazione verso le coste italiane e come profitto ricavano poco o nulla, senza, se è per questo, nemmeno essere certi di riuscire a salvarsi.

Il fenomeno ha avuto un’impennata dal 2013 in poi. La sorveglianza e repressione crescente nel Mediterraneo ha fatto cambiare strategia ai trafficanti. Per evitare di essere intercettati utilizzano imbarcazioni sempre più piccole e rotte più diversificate. “Imbarcazioni più piccole e insicure, quindi anche meno preziose”, precisa Marchetti.

In questo modo si mette in conto più facilmente di perdere le barche per le cattive condizioni meteorologiche o per l'inesperienza di chi le conduce. “Non ha senso rischiare mettendo dei bravi marinai alla guida di scadenti imbarcazioni. I migranti in attesa da mesi di fare la traversata, catturati nelle carceri, nei centri illegali o nelle connection house*, sono la perfetta* carne da macello che può svolgere questa funzione. Tanto più se sono sprovvisti del denaro sufficiente per la traversata e non hanno ormai più nulla da perdere*. Un viaggio gratis in cambio della responsabilità di mettersi alla guida di vascelli che sono poco più che* relitti già alla partenza*”.*

Sempre stando all’Unodoc, ci sono sempre più persone che lucrano sulla pelle di chi cerca di attraversare i confini. La ragione, come ricorda Marchetti, può sembrare paradossale: il miglioramento dei controlli alle frontiere. Dal momento che gli stati sono sempre più fermi a respingere i migranti, questi finiscono nelle mani dei professionisti che controllano le tratte. Quelli che l’Unodoc chiama semplicemente contrabbandieri.

I trafficanti sono quindi sempre di più, perché l’attività alla fin fine è a basso rischio. E sono sempre più organizzati e transnazionali, aumentando l’adattabilità alle circostanze. Non dobbiamo però immaginare delle organizzazioni piramidali con a capo un grande cattivo identificabile. Si tratta di una rete a macchia di leopardo. Coinvolge per esempio elementi delle milizie libiche, ma anche le mafie italiane.

L’Unodoc cerca comunque di colpire le organizzazioni criminali soprattutto attraverso l’investigazione, in collaborazione con l’Interpol e l’Europol. Non i migranti, che devono invece essere protetti grazie a protocolli internazionali. Anzi, nel prontuario su come combattere il contrabbando di migranti, l’agenzia delle Nazioni Unite precisa molto chiaramente che rappresentano un’opportunità anche per lo sviluppo delle nazioni da cui provengono (grazie ai soldi che riescono a mandare a casa).

Senza contare che una persona non può essere perseguibile per essere stata contrabbandata. Il protocollo dell'Onu riguardante questo crimine non intende infatti criminalizzare i migranti, anche quando sono entrati illegalmente. Come caso studio, l’Unodoc fa riferimento proprio all’Italia: qualche anno fa un peschereccio siciliano ha salvato decine di migranti somali in difficoltà, portandoli in Italia. Non solo l’azione non è ritenuta illegale, ma i pescatori sono stati anche premiati.

Non si tratta quindi di combattere i fenomeni migratori. Sarebbe come cercare di svuotare il mare con un secchio. Sono fenomeni che ci sono sempre stati, e sempre ci saranno. Lo sforzo è invece destinato a impedire che sia l’illegalità e lo sfruttamento a prendere il controllo di queste dinamiche. Come abbiamo visto, chiudere i porti non solo non può essere l’unica soluzione, ma può invece alimentare l’attività criminale.