Nessuna solidarietà per i leader di CasaPound rimossi da Facebook

I neofascisti denunciano il social accusandolo di "censura" per aver sospeso alcuni account. Il punto è che non dovrebbero neanche concorrere alle elezioni

CasaPound a Torre Maura, Roma, 6 aprile 2019 (foto: Valerio Portelli/LaPresse)

Ci si ritrova come per magia in quell’esilarante sequenza in cui i Blues Brothers si imbattono nella manifestazione dei nazisti dell’Illinois. Cioè in una situazione surreale nella quale all’interno del “free speech”, della libertà di parola e opinione, si intende infilare a forza l’“hate speech. Per poi gridare "al lupo al lupo" se certe posizioni, che non sono opinioni come le altre ma incitano all’odio e alla discriminazione, vengono giudicate insostenibili e comportano una qualche sacrosanta conseguenza. Un giochino furbesco che a lungo i social network hanno consentito, in virtù della loro impostazione statunitense come ha spiegato tempo fa in un libro seminale sul tema il giurista Giovanni Ziccardi. Ma che oggi, alla luce della montante ondata di suprematismo bianco passata anche da numerose stragi in giro per il mondo, le piattaforme digitali cercano di arginare in modo più forte.

Ieri il partito neofascista CasaPound ha accusato Facebook – Zuckerberg si sarà chiuso in casa dalla paura, non ne abbiamo dubbi – di censura. Loro che si rifanno al duce che chiudeva i giornali, controllava in modo assoluto l’informazione, ammazzava parlamentari, giornalisti e intellettuali (Piero Gobetti e Giovanni Amendola, solo per citarne alcuni) non hanno alcun timore a ricoprirsi di grottesco. Della democrazia vogliono solo le comodità, i fascisti del nuovo millennio: dei doveri e delle garanzie dovute non sanno che farsene, della Costituzione che impedirebbe la loro stessa esistenza neanche. Non ci pare infatti di ricordare cenni di solidarietà nei confronti dei reporter aggrediti di recente nella capitale dai cugini di Forza Nuova e Avanguardia Nazionale, come in tutte le altre occasioni presenti e passate in giro per l'Italia.

La ragione di questo schiamazzo brunastro è la sospensione degli account di molti dirigenti e militanti del gruppo. Fra di loro il presidente Gianluca Iannone, tre consiglieri comunali e altri sei membri della formazione che, vale sempre la pena ricordarlo, occupa da anni un edificio al centro di Roma di proprietà del demanio che proprio nessuno sembra voler sgomberare e restituire alla collettività. Solo ieri Luigi Di Maio, nell’ennesima mossa di riposizionamento in vista delle elezioni europee sempre di rimbalzo a Matteo Salvini, è tornato sul punto. Opportunismo.

Sul sito del suo bollettino,* Il Primato nazionale*, CasaPound ha spiegato che “questi provvedimenti risultano ancora più inaccettabili perché in alcuni casi vanno ad inserirsi in campagne elettorali già attive – come ad esempio a Nettuno – , e in altri casi colpisce consiglieri già eletti andando a ledere le libere scelte del corpo elettorale”. Il gruppo accusa della macchinazione che punta a “cancellare le voci dissonanti” la “task force italiana dei censori di Facebook”. Una task force che in realtà non esiste perché controlli di questo tipo sono in gran parte automatizzati, in ulteriore parte legati alle segnalazioni degli utenti e solo in ultima istanza affidati a gruppi di moderatori in carne e ossa che non sono operativi direttamente in Italia.

La “denuncia” di CasaPound si guarda bene dall’elencare le ragioni specifiche della sospensione. Parla anzi di “assenza di motivazioni” o di “totale pretestuosità” delle stesse. Allude solo a una, quella legata alla sospensione dell’account di un candidato ad Ascoli Piceno: “La motivazione che ha portato alla cancellazione del profilo di Ferretti era la presenza di un dipinto di Balla raffigurante la Marcia su Roma”. Tutte vittime, tutte anime candide, tutti massimi garanti delle regole che occorre rispettare per garantire conversazioni civili sulla piattaforma californiana. E ancora prima nella vita di tutti i giorni.

Secondo altre fonti, come Il Post, le numerose sospensioni sarebbero in realtà legate alla pubblicazione di materiale “ritenuto apologetico nei confronti del fascismo o di incitamento all’odio e alla violenza”. In particolare in merito alla nuova caccia ai rom in corso in alcune periferie romane, a partire da Torre Maura passando per Casal Bruciato e Casalotti, dove oggi è in programma una manifestazione del gruppo neofascista.

Fra le righe, per giunta, è curioso individuare una considerazione che d’altra parte si sta diffondendo anche in ambienti molto lontani da quelli dell’estrema destra. Cioè l’idea di uno statuto pubblico di Facebook e della necessità di un suo controllo esterno, che d’altronde perfino lo stesso fondatore sembra aver richiesto a gran voce proponendo un confronto con i governi su certi aspetti, come quello dell’odio online, che privatisticamente non si riesce a sconfiggere e modulare: “Facebook ormai non è più solo una piattaforma privata, visto che la sua valenza politica e sociale a livello globale è ampiamente riconosciuta da studi e persino da sentenze; quindi, come tale, non può più arbitrariamente decidere – fatte salve conclamate e motivate violazioni della propria policy – chi possa essere presente sulle proprie pagine” si legge nel comunicato in forma di articolo giornalistico. Ma questo è un altro tema.

CasaPound, come le altre formazioni neofasciste, non dovrebbe esistere per legge. Eppure le è stato consentito un abbondante margine di manovra, quasi per quieto vivere, confidando nell’insignificanza elettorale. Ma il rischio, ormai conclamato, è che proprio la possibilità di concorrere alle elezioni – peccato originale, consentire a queste formazioni di finire sulla scheda elettorale, compresa quella delle prossime europee – ponga quelle organizzazioni sullo stesso piano degli altri partiti. In fondo se possono avere propri candidati e presentare propri simboli, come si fa poi a farli fuori dal dibattito pubblico?

In questa contraddizione che viola la carta costituzionale e la legge Scelba il neofascismo torna così passo dopo passo a sdoganarsi, a farsi stile di vita e di moda, il passato si annacqua e scompare nei suoi reali e drammatici contorni e il presente si intossica. Che Facebook, per una volta, sfoderi più coerenza della Repubblica italiana non può che essere una notizia confortante: anche lì sopra, dove si dice e si legge di tutto, oltre una certa soglia non si può andare. Sarebbe il caso che anche lo Stato cogliesse questa mossa, per così dire prendesse coraggio e applicasse con fermezza e per intero le sue “policy” che parlano di divieto di riorganizzazione, “sotto qualsiasi forma”, del partito fascista. Altro che blaterare di censura.