Tutte le volte in cui Salvini ha “rubato il lavoro” agli altri ministri

L'inquilino del Viminale nei primi 10 mesi di mandato si è fatto notare per l'eccessiva esuberanza con cui gestisce diversi dossier, un protagonismo non sempre apprezzato dai partner di governo

Foto di Stefano Montesi - Corbis/Corbis via Getty Images

Con l'emanazione di una circolare indirizzata, oltre che alle forze di polizia, anche allo stato maggiore della Difesa e al comandante generale della Guardia costiera, il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha appena mandato su tutte le furie il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e i vertici della forze armate sotto la sua diretta amministrazione. Il leader della Lega non è nuovo ad accuse di ingerenza e nei primi 10 mesi di governo si è contraddistinto per l'inusuale intraprendenza con cui ha trattato i più svariati dossier sul tavolo dell'esecutivo.

I precedenti

L'insofferenza del Movimento 5 stelle per le invasioni di campo dell'alleato leghista inizia già pochi giorni dopo l'insediamento del governo. Il tema è quello, ormai famigerato, della chiusura dei porti e il ministro dell'Interno Matteo Salvini assume prontamente l'iniziativa lanciando l'hashtag #chiudiamoiporti, il primo passo verso quella che sarà la decisione di negare lo sbarco sul territorio italiano dei 629 naufraghi salvati in mare dalla nave Aquarius.

Il protagonismo di Salvini prende in contropiede il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, al quale spetterebbe la competenza sui porti italiani e la prerogativa di ordinarne la chiusura per motivi di ordine pubblico, stando all'articolo 83 del Codice della navigazione. Dopo alcune iniziali resistenze, Toninelli si uniforma alla posizione del collega di governo e – seppur in assenza di provvedimenti ufficiali – vieterà l'attracco alle navi delle Ong. Dopo aver difeso a lungo la decisione, negli ultimi giorni Danilo Toninelli ha iniziato a smarcarsi dalla linea dura del vicepremier, ribadendo la necessità di passare dal suo ministero per future iniziative in tema di porti.

Un altro dossier su cui l'iniziativa di Matteo Salvini si è rivelata particolarmente esuberante è quello della politica estera. Non è un mistero che il titolare dell'Interno abbia coltivato nel tempo una vasta e proficua rete di amicizie internazionali, che tra le altre cose gli hanno permesso di ritagliarsi un ruolo di spicco nella compagine del sovranismo europeo. Decisamente meno prevedibile era invece l'eventualità che la strategia politica perseguita dal Salvini leader della Lega diventasse tutt'uno con il posizionamento internazionale del governo italiano.

In appena 10 mesi di governo Matteo Salvini è volato al Cremlino per incontrare il vicepremier russo Dmitry Kozak, delegato agli affari energetici di Putin, ha accolto il primo ministro ungherese Victor Orban nella sede della Prefettura di Milano, ha attaccato frontalmente Emmanuel Macron e Angela Merkel. Ma soprattutto, è sua la voce più ascoltata – e non quella dell'evanescente ministro degli Esteri Moavero Milanesi – in quell'enorme rumore indefinito che è la posizione italiana nello scacchiere libico.

L'ultimo sconfinamento in ordine di tempo, prima di questi giorni, era però avvenuto su una crisi di minore entità. Il 12 febbraio, in vista delle elezioni regionali in Sardegna, Matteo Salvini ha ricevuto al Viminale alcuni rappresentanti sindacali dei pastori sardi, da giorni sul piede di guerra a causa del crollo del prezzo del latte di pecora. La gestione del dossier e la promessa di una soluzione “entro 48 ore” – su un tema di solito trattato dai ministeri delle politiche agricole e dello sviluppo economico – si è rivelato fondamentale per spiegare l'ottimo risultato del centrodestra in Sardegna.

Il super-ministro

L'iperattività istituzionale di Matteo Salvini è stata più volte giustificata con il suo ruolo di vicepresidente del Consiglio, che gli consentirebbe un margine di manovra maggiore rispetto ai precedenti inquilini del Viminale. A tal proposito sarebbe utile sottolineare come il ruolo di vicepremier non sia in alcun modo previsto dalla Costituzione italiana – che si sofferma unicamente sulla figura di presidente del Consiglio – e che le sue prerogative sono disciplinate dall'articolo 8 della legge 400/1988, che stabilisce unicamente un compito di supplenza in caso di assenza o impedimento temporaneo del titolare dell'iniziativa di governo.