Vendere prodotti derivati dalla cannabis light è reato, dice la Cassazione

Commerciare olio, resina e infiorescenze per la Corte non è lecito. Il ministro dell'Interno Salvini, che vuole chiudere i cannabis shop, esulta, ma c'è chi parla di sentenza politica

(foto: LaPresse/ Claudio Furlan)

I cannabis shop potrebbero essere presto costretti a chiudere. Le sezioni unite penali della Corte di Cassazione, presiedute dal presidente aggiunto Domenico Carcano, hanno stabilito che vendere i prodotti derivanti dalla cannabis light è un reato.

La sentenza è arrivata nell'ambito di un procedimento a carico di un commerciante di cannabis light nelle Marche. Il procuratore capo di Ancona aveva deciso di rivolgersi alla Suprema corte dopo che il Tribunale del riesame aveva annullato il sequestro della merce da lui disposto.

I giudici hanno motivato la sentenza spiegando che la legge del 2016 sulla cannabis light “qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole” per uso a fini medici. L'olio, le inflorescenze (i rami coi fiori), la resina (un estratto alcolico) e tutti gli altri prodotti derivati dalla cannabis sativa, una delle varietà più diffuse, non rientrano in questa categoria.

Inoltre, questi articoli hanno un contenuto di Thc (il principio attivo che dà effetti psicotropi) compreso tra lo 0,2 e lo 0,6% e, secondo la Cassazione, non sono “privi di efficacia drogante”. A questo proposito, i giudici hanno infatti stabilito che quella forbice di tolleranza, stabilita dalle legge del 2016, non si riferisce alla quantità di Thc nel prodotto ma a quella presente nella pianta che viene coltivata.

Una sentenza politica?

I Radicali hanno criticato la sentenza. Secondo loro si tratterebbe, più che di un'interpretazione oggettiva della legge, di una decisione “politica in linea con il volere di un ministro che ha annunciato un'offensiva nei confronti della cannabis light”.

Il riferimento è a Matteo Salvini, che qualche settimana fa aveva dato disposizioni affinché venissero controllati tutti quelli che aveva definito “presunti negozi turisti di cannabis” i quali, a detta del ministro, sarebbero* “luoghi di diseducazione di massa”.* Proprio oggi Salvini ha dichiarato: “Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma”.

Anche il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana si è schierato a favore del pronunciamento. “Questa decisione conferma le preoccupazioni che abbiamo sempre manifestato in relazione alla vendita di questo tipo di prodotti e la bontà delle posizioni espresse e delle scelte da noi adottate fino ad oggi”, ha commentato il leghista. Lo stesso hanno fatto anche Stefano Pedica del Partito democratico e il Moige, il Movimento genitori italiani, secondo cui ora bisogna chiudere i cannabis shop.

La sentenza della Cassazione non avrà sicuramente effetti immediati. Una delle ragioni è che il primo febbraio scorso la Suprema corte era arrivata a una decisione diametralmente opposta: i giudici avevano infatti annullato un sequestro preventivo a carico di un 28enne di Civitanova Marche, stabilendo che era possibile coltivare, commercializzare e utilizzare – anche a fini alimentari o cosmetici – cannabis con una percentuale di Thc inferiore allo 0,6%. Bisognerà quindi uniformare il diritto e stabilire se bisogna attenersi a questa sentenza o a quella di oggi.

C'è poi la questione economica, dato che il settore della cannabis è in rapida espansione. Secondo la Coldiretti, negli ultimi cinque anni in Italia la superficie di terreni coltivata a cannabis sativa è passata da 400 a 4000 ettari, con un aumento del 10%: oggi sarebbero più di 600 i punti vendita in Italia, con un indotto che dà lavoro a più di 10mila persone.