Spionaggio cinese, Apple nega di avere trovato prove sui propri server

La situazione negli Usa è tesa, governo e aziende chiedono di essere rassicurate. Apple al Congresso confuta tutte le tesi di Bloomberg

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(Foto: Anton NovoderezhkinTASS via Getty Images)[/caption]

Lo scorso 5 ottobre il settimanale Businessweek, costola di Bloomberg, ha riportato che la Cina spiava le attività dei colossi del tech mediante chip montati sui loro server.

L’untore, secondo l’indagine, sarebbe l’azienda cinese Supermicro che forniva l’hardware a diverse aziende, una trentina in tutto, tra le quali Amazon e Apple. I tre attori si sono prodigati a rilasciare comunicati per negare i fatti ma, a pochi giorni di distanza, la portata della notizia non è stata ridimensionata.

Innanzitutto Businessweek ha ricostruito che le agenzie per la sicurezza americane fossero a conoscenza del rischio infiltrazione già nel 2015 e quindi, se danno c’è stato, si è davanti alla classica frettolosa chiusura della stalla quando i buoi sono scappati. Inoltre, non solo in America ma soprattutto in America, i recettori istaminici sono in fibrillazione perpetua a causa degli ormai noti episodi racchiusi nel Russiagate, le cui onde d’urto hanno spinto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a dichiarare Mosca e Pechino nemici degli Usa.

Un’atmosfera elettrica che ha spinto Apple a prendere una posizione a cospetto del Parlamento, compito affidato al vicepresidente per la sicurezza George Stathakopoulos il quale, con un comunicato indirizzato ai comitati per il Commercio del Senato e della Camera, ha sostenuto che: “gli strumenti di sicurezza proprietari di Apple sono in continua scansione per questo tipo di traffico in uscita, in quanto indica l’esistenza di malware o altre attività dannose. Nulla è mai stato trovato”. Stathakopoulos esclude anche, al contrario di quanto riportato da alcuni media, che Apple avesse contattato l’Fbi per denunciare riscontri di infiltrazioni.

[caption id="attachment_220512" align="alignnone" width="1900"] Businessweek mostra come erano nascosti i microchip (Illustrazione: SCOTT GELBER FOR BLOOMBERG BUSINESSWEEK)[/caption]

I chip alterati, secondo l’inchiesta di Businessweek, sarebbero installati anche su server usati dal governo americano, il Congresso non ha però preso posizione. Non si tratta di complottismo ma di un rischio reale e tangibile: se davvero la Cina stesse spiando (o avesse spiato) il cuore dell’America, a quali conseguenze politico-economiche dovremmo prepararci?

Il rischio è globaleVa detto e sottolineato che le autorità americane sono propense a fidarsi delle dichiarazioni fatte da Apple e Amazon, va anche detto che l’allarmismo è quasi sempre un’arma a doppio taglio. Nel caso dei servizi erogati dai due colossi però qualche domanda è obbligatoria, proprio perché il rischio è potenzialmente smisurato.

Sia Apple sia Amazon, infatti, forniscono servizi cloud. Cupertino ammalia i propri utenti con iCloud, Amazon realizza gran parte del proprio giro d’affari e dei propri guadagni grazie ad Amazon Web Services (Aws), servizi cloud on demand a cui fanno ricorso un elevato numero di clienti sparsi letteralmente in tutto il globo.

Al di là delle rassicurazioni che la storia insegna essere poco attendibili, anche Facebook inizialmente ha minimizzato la portata delle ingerenze russe nelle Presidenziali del 2016, tra l’altro proprio davanti al Congresso Usa, ma c’è in gioco la riservatezza e la sicurezza di miliardi di persone. Per il momento le politiche allarmistiche non trovano per fortuna spazio ma le domande restano: se davvero la Cina fosse in grado di spiare i colossi del tech dal loro interno, i dati e le informazioni che affidiamo ai servizi cloud quanto sono sicure? Quanto sarebbero al riparo le strategie di vendite delle aziende? E i dati che usano e analizzano per prendere decisioni? Davanti a questo pericolo è legittimo accontentarsi di comunicati ufficiali?

Intrusioni simili sono già state portate alla luce da Edward Snowden relativamente agli Usa, quando ha fatto scoppiare il Datagate. Non si tratta quindi di tecnologie futuristiche e, dettaglio non da poco, la Cina rientra nella filiera della produzione del 90% dei computer mondiali e di almeno il 70% dei dispositivi mobili.