Quella sui money transfer è una tassa discriminatoria

Colpisce gli immigrati che lavorano in Italia e spediscono parte dei guadagni per aiutare le famiglie nei paesi d'origine, in piena controtendenza con il motto “aiutiamoli a casa loro”

Quella in corso è una settimana decisiva per l’approvazione del nuovo decreto fiscale. La Commissione finanze del Senato ha dato l’ok all’emendamento omnibus, che cancella il condono con l'integrativa speciale e introduce la sanatoria degli errori formali. Oltre a questo, vengono previste misure come il rinnovo del bonus bebè, una sanatoria sulle case popolari, l’abbattimento delle tasse per le sigarette elettroniche e la creazione di un fondo per il maltempo. Infine, viene introdotta la tassa sui money transfer, un'imposta dell'1,5% su operazioni di trasferimento di denaro verso territorio extra-europeo. Facile capire chi saranno i primi, se non gli unici, a essere colpiti da questa misura. Gli immigrati di prima e seconda generazione, che lavorano e pagano le tasse in Italia. Come semplice è scovare chi sia il promotore dell’emendamento: la Lega.

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Quello delle rimesse internazionali è un ingente flusso di risorse che viaggia verso i paesi in via di sviluppo: riguarda 200 milioni di lavoratori migranti per un totale di 450 miliardi di dollari. Chi lascia il proprio paese è in molti casi l’unica fonte di reddito per la famiglia rimasta in patria, grazie al denaro che invia regolarmente. Non è un caso che se le rimesse internazionali contano per meno dell’1% del Pil italiano, in altri paesi la situazione è drasticamente diversa. Nel 2017 le rimesse costituivano il 32,86% del Pil del Kyrgyzstan, il 29,25% di quello di Haiti, il 21,25% di quello del Gambia e il 20,37 di El Salvador - per citarne alcuni. In certi paesi il prodotto interno lordo si basa quindi per quasi un terzo sulle risorse inviate dai propri cittadini all’estero, tanto che questi flussi arrivano a pesare in modo ben più netto sull’economia locale rispetto agli aiuti internazionali o agli investimenti diretti esteri.

Oggi i milioni di immigrati che spediscono parte del proprio stipendio nel paese d'origine devono affrontare commissioni che arrivano fino al 10-20%, fissate dalle società di servizi finanziari che si occupano del trasferimento dei fondi. Una persona che invia 50 euro, quindi, vedrà volatilizzarsi fino a 10 euro in commissioni, un’enormità soprattutto se rapportato al costo della vita nei paesi di destinazione. È per questo motivo che a livello internazionale da anni si agisce per abbattere queste commissioni. “Durante il G8 del 2009 a L’Aquila fu stabilito l’obiettivo di portarle al 5%. Lo stesso obiettivo fu ribadito ai G20 di Cannes (2011)e Brisbane (2014). Inoltre, all’interno degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è fissato l’impegno di ridurre i costi al 3% entro il 2030”, scrive Repubblica. Sullo sfondo, diverse startup in giro per il mondo si stanno adoperando per offrire servizi innovativi e meno dispendiosi, ad esempio attraverso l’utilizzo di criptovalute.

Mentre nei consessi internazionali e negli hackaton si agisce in questa direzione, la misura che compare nel nuovo decreto fiscale del governo giallo-verde suona come una presa in giro. Innanzitutto, vengono colpiti in modo discriminatorio i lavoratori immigrati. Sono quasi esclusivamente loro a servirsi dei servizi finanziari di trasferimento internazionale di denaro, il che rende la tassa in questione una vera e propria imposta sullo straniero. Inoltre, si ostacola una fonte primaria di reddito per molti paesi, piuttosto che favorire canali ufficiali di finanziamento alle loro economie. Alla faccia dell’aiutiamoli a casa loro, un mantra che non è poi altro che una maschera dietro cui nascondere una xenofobia diffusa, anche e soprattutto negli ambienti di governo. Infine, aggiungendo una tassa a un contesto già caratterizzato da alte commissioni, si favorisce il ricorso a canali di trasferimento illegali.

Secondo la Banca d’Italia, già oggi circa un terzo del denaro viene spedito attraverso canali illeciti: criminalità organizzata su tutti, uno dei suoi tanti business. Piuttosto che mettere in ginocchio gli affari delle mafie nel settore, però, il governo ha preferito introdurre un dispositivo che va nella direzione opposta. Troppo importante in termini propagandistici portare a casa una nuova misura anti-stranieri, qualunque siano le conseguenze.

Nel momento in cui la tassa sui money transfer dovesse entrare in vigore, i più colpiti sarebbero i cittadini del Bangladesh, i filippini e i senegalesi. Nel 2017 le rimesse totali dall’Italia hanno fatto registrare circa 5 miliardi di euro e un’eventuale tassa sui trasferimenti porterebbe circa 60 milioni di euro nelle casse statali, secondo le indicazioni del governo. Piuttosto che attraverso una misura discriminatoria, una tassazione sulla nazionalità straniera di chi lavora e paga le tasse in Italia, la Lega - promotrice dell’emendamento - avrebbe potuto percorrere altre strade per arrivare (circa) a quella cifra. Restituire i 49 milioni di euro dovuti allo stato italiano, per esempio.