Nove startup italiane alla ricerca di affari in Cina

Dal fintech di Credimi al trasporto di microsatelliti di D-Orbit, nove aziende innovative si presentano a investitori e fondi di Pechino

Pechino è la capitale della Cina

Il British Council stima che da qui al 2020 due miliardi di persone al mondo studieranno inglese e di questi 400 milioni saranno cinesi. Gli studenti di inglese in Cina spenderanno ogni anno circa la metà dei tre miliardi di euro generati dalla filiera dei corsi di lingua. Soldi sempre più destinati a servizi in digitale. Per questo quando Giacomo Moiso ha saputo che si stava organizzando una missione per startup italiane in Cina, ha candidato la sua Fluentify. La società, che ha base a Londra ma dna del Belpaese, “è una soluzione per mettere in contatto chi vuole imparare inglese con tutor madrelingua con corsi di conversazione di mezz'ora”, spiega il cofondatore. “Il nostro business principale sono le aziende, abbiamo modificato il nostro prodotto per renderlo più adatto ai manager delle risorse umane”, precisa Moiso. Fluentify collabora con 150 aziende, tra cui Bottega Veneta e Banca Sella. E ora guarda al mercato in Cina.

Fluentify sarà a Pechino lunedì 30 ottobre insieme ad altre otto startup italiane per incontrare duecento professionisti tra venture capitalist e figure di spicco con entrature nell’economia del Dragone. Nella capitale cinese atterreranno anche i rappresentanti di Armadio, D-Orbit, Credimi, Nuvap, Yewno, Wearable Robotics, Echolight e Brainer. La prima gestisce un servizio ecommerce di pelletteria italiana negli Stati Uniti. D-Orbit ha creato un sistema di trasporto di piccoli satelliti. Credimi opera nel fintech e anticipa online le fatture delle aziende. Nuvap è un dispositivo Iot che monitora la qualità dell’aria. Yewno è una piattaforma di ricerca online ed estrazione di contenuti basata sul machine learning. Wearable Robotics, come svela il nome, sviluppa esoscheletri per la riabilitazione e per il potenziamento del corpo umano. Echolight è una sorta di ecografia per individuare l’osteoporosi e nasce da un progetto del Cnr di Lecce. Infine Brainer è una piattaforma online per la riabilitazione cognitiva, brevettata all’interno del Politecnico di Torino.

La regia dell’evento di Pechino è di Istarter, acceleratore di startup, con uffici a Milano, Torino, Londra e, dall’anno prossimo, anche a New York. “La nostra idea è di portare alcune eccellenze italiane in una fase di startup o scale up a incontrare investitori e partner della Cina”, spiega il direttore generale, Antonio Chiarello. Pechino è la seconda tappa di un tour partito da Londra ad aprile e che si concluderà a New York tra gennaio e febbraio del 2018.L’evento, Made in Italy 2.0 2.0, si svolgerà all’ambasciata italiana di Pechino, in tandem con Caixin Insight, la divisione finanziaria del gruppo media Caixin, una sorte di Sole 24 ore in Cina. “Penso che per queste startup farà la differenza trovare un partner locale”, osserva Chiarello.

D-Orbit, per esempio, ha già tastato il terreno. “C’è grande fermento nel settore spazio in Cina. È un’industria strategica e al momento è ancora sotto il controllo governativo, ma stanno spuntando iniziative private e startup”, osserva Luca Rossettini, amministratore delegato della società che si occupa di portare in orbita, posizionare e ripulire dallo spazio piccoli satelliti. Gruppi cinesi come Onespace, Shenzhen Yu Long o Landspace stanno investendo nel segmento dei microsatelliti, ma come in Europa, anche in Cina il calendario dei lanci è intasato. D-Orbit, con i suoi sistemi di trasporto collettivo, può aggirare il problema. “Un domani i nostri mercati di riferimento saranno Stati Uniti e Cina”, ammette Rossettini, che prevede di chiudere l’anno con un fatturato di 3 milioni di euro. Il primo lancio della loro “navetta” per satelliti è previsto tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019.

Anche Credimi ha fiutato l’affare Cina. “I nostri dati ci indicano che circa il 40% delle imprese cinesi vende con dilazioni del pagamento, un dato leggermente inferiore all’Italia, dove è del 50%”, spiega uno dei fondatori, Sabino Costanza. Credimi è una società di fintech e lavora sul pagamento anticipato delle fatture. L’azienda viene valutata e, se risulta finanziabile, riceve in 48 ore il denaro, in un canale alternativo alla banca. Credimi ha già erogato 41 milioni di euro in Italia ed entro la fine dell’anno ne presterà altri venti. “In Cina circolano 1.500 miliardi di dollari tra le piccole e medie imprese. Il mercato è promettente e al momento le startup che se ne occupano sono poche”, osserva Costanza.

Tuttavia il manager è cauto sull’avvio di attività in Cina: “Per ora il primo vero passo è lavorare bene in Italia e potenzialmente in Europa”. E così la pensano anche gli altri imprenditori: prima studiare il mercato, consolidare gli affari e solo allora entrare in Cina con un partner locale. Il piano ha un orizzonte di lungo raggio. Fluentify punta nel 2018 ad allargarsi in Spagna e, negli anni a venire in Francia e Germania.

Andiamo in Cina per attrarre capitali, è un mercato che ci interessa ma non siamo pronti, vogliamo rafforzare prima il nostro interno, gli Stati Uniti”, aggiunge Matteo Mattia Gemignani, fondatore di Armadio. La startup di moda ha un anno di vita scarso. Vende borse da donna in pelle realizzate da artigiani o designer di nicchia in Italia. “Abbiamo raccolto neanche 600mila dollari di capitali e contiamo di chiudere l’anno sopra il milione di dollari di fatturato”, spiega il fondatore. Il mercato cinese potrebbe divorare un prodotto come una borsa made in Italy. In Cina abita il 30% dei consumatori mondiali di lusso e la classe media, oggi composta da 360 milioni di persone, entro il 2020 raddoppierà. “La Cina è un mercato enorme, perciò è un progetto a medio e lungo termine. Bisogna creare una struttura locale, richieste sforzi legali e operativi. Prima teniamo occhi aperti sui vicini di casa, come Canada, Messico e America Latina”, precisa Gemignani.

Il viaggio servirà a tessere relazioni, scambiare biglietti da visita, misurarsi con i capitali. Il mercato è sconfinato e la Cina è alla ricerca di affari. Nuvap, per esempio, propone un dispositivo che rileva 26 parametri di qualità dell’aria e farebbe al caso di un Paese nella morsa dell’inquinamento. Chiarello è sicuro: “In Cina c’è spazio per idee che nessuno si aspetta dall’Italia. Magari non sono l’innovazione high-tech, ma idee in settori che ci caratterizzano, come l’alimentare, la moda, ma anche lo spazio, la salute e il fintech”.