Com'è fare startup in Africa

Dall'Uber delle merci al servizio di telemedicina, i progetti di alcune startup in Africa sbarcano all'università Bocconi per un corso di imprenditorialità. Obiettivi: sostenere le nuove aziende che vogliono cambiare l'economia del grande continente

Le startup dall'Africa ospiti in Bocconi (foto: Università Bocconi)

A Conrad Tankou l’idea è venuta dopo aver prestato servizio per cinque anni come medico nelle campagne del Camerun, in Africa: usare la tecnologia per far visitare i pazienti delle aree rurali dagli specialisti di città. È questo il compito di Gic Space, la startup di telemedicina che il dottore ha fondato. “Abbiamo creato una piattaforma web che permette di inviare ai medici specialisti, che sono pochi e tutti in città, i dati dei pazienti delle comunità rurali, cosicché possano fare una diagnosi”, spiega Tankou.

Gic Space ha messo a punto B-scan, un sistema di microscopio digitale che smaschera il tumore al seno nelle fasi iniziali. Un altro dispositivo di telemedicina, Cerviscan riconosce le lesioni al collo dell’utero. La scorsa estate il test ha superato le mille donne coinvolte. “Abbiamo sperimentato il progetto in dodici villaggi”, prosegue Tankou. In Africa l’Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che il 22% dei tumori contratti dalle donne aggredisce il collo dell’utero.

#CerviScan 1000+ women already reached. https://t.co/KIvI49Bopc

— GIC Space (@gic_space) August 24, 2017

Gic Space ha ricevuto fondi dagli Stati Uniti per partire, ma ora servono investitori per crescere. “La nostra idea è di fare una soluzione valida per tutta l’Africa”, spiega il fondatore. “Ma io non sono un uomo d’affari, sono un medico”, aggiunge. Per questo Tankou ha colto l’occasione di partecipare a un corso accelerato di imprenditorialità all’università Bocconi di Milano.

La startup della telemedicina è una delle venti imprese innovative africane che hanno beneficiato del piano non profit della scuola di alta formazione Sda della Bocconi (qui l'elenco parziale). Per due settimane gli imprenditori da Nigeria, Uganda, Senegal, Ghana, Sudafrica, Kenya e Camerun seguiranno lezioni per capire come far crescere la propria startup. E l’8 marzo incontreranno business angel e fondi di investimento. Tra questi c’è il gruppo svizzero Quantum, uno dei più attivi finanziatori di progetti industriali in Africa.

Gli imprenditori sono un manipolo dei cinquemila che hanno già seguito un corso online di networking organizzato da un docente della Bocconi, Fernando Vega-Redondo: il progetto Adansonia. “L'Africa è il continente del futuro e lo sviluppo di una generazione di imprenditori locali è una condizione fondamentale per la crescita”, spiega il responsabile di Sda Bocconi, Giuseppe Soda. Secondo il portale Disrupt Africa, nel 2017 i finanziamenti alle startup tecnologiche nel continente sono cresciuti del 51% rispetto al 2016, raggiungendo quota 195 milioni dollari. Ne hanno beneficiato 159 società. Sudafrica, Nigeria e Kenya risultano le prime destinazioni per investimenti tecnologici in Africa.

Delle venti startup, sei si occupano di agricoltura e alimentare, tre di immobiliare, quattro di trasporti e le restanti si dividono tra sociale e digitale. Sawadrive è una sorta di Uber delle merci. Ideata in Uganda da uno sviluppatore, Godwin Ocen, e da un ingegnere informatico, Adralia Nelson, Sawadrive mette in contatto chi deve spedire un pacco con chi può trasportarlo a destinazione nel più breve tempo possibile. L’idea è venuta a Ocen, dopo essersi ritrovato con una decina di computer da portare a casa e una serie di corrieri che non gli assicuravano prezzi e tempi di consegna. La sperimentazione è partita a Kampala, capitale dell’Uganda, una città da 1,3 milioni di abitanti, e nelle vicine città di Jinjia, Wakiso e Mukono

I corrieri non sono veloci ma costosi e a Kampala il traffico è sempre congestionato. Non si riesce mai a capire quanto costi una consegna”, spiega Ocen. Sulla app l’utente può selezionare il veicolo in base all’ingombro del pacco, dalle motociclette ai camion, concordare la consegna in base a tempi e distanze e pagare via smarpthone. La app, Sawaplo, significa “buono per connettere”. E l’obiettivo è di farne una soluzione diffusa in tutta l’Africa. “La cosa più importante ora è la conoscenza per crescere e diventare la piattaforma logistica di riferimento per l’Africa”, spiega l’imprenditore.

Si occupa di trasporti anche Kyle Brown, ex militare dell’esercito statunitense che in Senegal ha partecipato alla fondazione di Ping!, società del gruppo Marbro che sviluppa auto elettriche. “Le auto elettriche si stanno diffondendo in tutto il mondo, ma non in Africa”, osserva. Tuttavia, continua Brown, “il cambiamento climatico crea problemi crescenti anche in Africa ed è necessario abbattere le emissioni del traffico”. La capitale del Senegal, Dakar, è una città di un milione di abitanti congestionata dalle automobili.

L’auto elettrica di Ping! ha raccolto già una serie di investimenti e i primi modelli saranno pronti per l’estate. “Sperimenteremo 10-15 mezzi”, anticipa Brown. All’inizio le auto elettriche serviranno per servizi di taxi e noleggio con conducente. La vendita arriverà in una seconda fase, mentre il gruppo lavora anche a creare una rete di stazioni di ricarica veloci. “La rete elettrica è uno dei problemi da affrontare, ma a Dakar è stabile e possiamo contare sulle forniture da pannelli solari”, prosegue Brown. Al contrario, spiega, “la vera sfida è cambiare la mentalità, rendere i cittadini consapevoli degli effetti del cambiamento climatico e delle potenzialità delle auto elettriche”.

Tutti gli imprenditori in Bocconi riconoscono che l’ostacolo più grande allo sviluppo è cambiare la mentalità. La sfida non è tanto aprire una startup, quanto convincere i consumatori a modificare le proprie abitudini. È quello che sta cercando di fare anche Olujamoke Eniola. La sviluppatrice ha aperto Kjk Communication, startup che offre servizi digitali alle imprese. “In Africa le aziende hanno un problema con l’informatica. Non hanno accesso ai professionisti del settore ict, che sono pochi, e non hanno esperienza”, spiega l’imprenditrice. La sua startup offre di colmare questo buco, specie tra le piccole e medie imprese. Kjk forma i professionisti del web, fa consulenza alle aziende per indicare la strategia più profittevole e poi spedisce i suoi uomini ad attuarla.

Se vendi moda in Nigeria, devi essere su Instagram. È là che la gente cerca consigli. Quindi se investi i soldi in un sito, non va bene”, prosegue Eniola. Al momento Kjk paga i suoi allievi perché siano formati. Il corso di sei mesi li trasforma in professionisti del marketing sul web. “Le persone non vogliono lavorare in un ufficio, ma come freelance”, precisa.

I primi soldi le sono arrivati dalla famiglia e dagli amici, ma ora Eniola cerca investitori più strutturati. “Il digitale può essere uno strumento per combattere la disoccupazione, che è uno dei maggiori problemi dell’Africa”, aggiunge. Per la Società delle missioni africane nel grande continente 32 milioni di giovani sono senza lavoro. Ma per Eniola, “se si spiega a un’impresa come fare business, questa assumerà almeno una persona. Così possiamo sconfiggere la disoccupazione”.