Greater Bay Area, dove la Cina sta costruendo la sua Silicon Valley

Tra Hong Kong, Macao e il Guangdong nascerà la più grande area per lo sviluppo tecnologico e digitale. Così Pechino vuole sorpassare gli Usa

Gruppo di robot a una fiera in Cina (foto di Chen Chao/China News Service/Vcg via Getty Images)

Undici metropoli, 70 milioni di abitanti, un prodotto interno lordo di 1.500 miliardi di dollari nel 2017.Quanto quello della Russia, ma concentrato, rispetto agli oltre 17 milioni dello stato più vasto al mondo, in 56mila chilometri quadrati. Sono questi i numeri del delta del Fiume delle perle, nell’area sud-est della Cina. Pechino vuole trasformare il ganglio di città, imprese, startup, finanza e infrastrutture nella Silicon Valley del futuro. La cosiddetta Greater Bay Area (Gba), che entro il 2035 dovrà diventare il baricentro dell’innovazione mondiale.

Il progettoIl 18 febbraio il governo cinese ha dato il visto si stampi al piano di sviluppo della Gba, battezzato nel luglio del 2017 dal presidente Xi Jinping. L’obiettivo è quello di trasformare l’area di Hong Kong, Macao e di nove città della provincia meridionale del Guangdong (Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Zhongshan, Jiangmen, Zhaoqing, Foshan, Dongguan e Huizhou), che già oggi contribuisce al 12% del pil cinese (fonte: Xinhua), nella prima regione al mondo per brevetti tecnologici, semina di startup, investimenti in imprese innovative, digitalizzazione. Il primo traguardo è stato fissato al 2022, mentre il mastodontico piano dovrà fiorire per intero entro il 2035.

È un guanto della sfida che Pechino lancia a un’altra Bay area, quella di San Francisco, dall’altra parte del Pacifico. Ma è anche una sottile sciarpa di seta con cui Xi Jinping intende stringere a sé le ex colonie di Macao e Hong Kong, oggi regioni amministrative speciali per effetto della regola “un paese, due sistemi”.

La mappa della Greater Bay Area (Google Maps)

Il primato tecnologicoLe 62 pagine del piano di sviluppo elencano gli obiettivi della Greater Bay Area*.* Primo: affermarsi come una potenza tecnologica. Pechino vuole aprire “il corridoio Guangzhou-Shenzhen-Hong Kong-Macao per l’innovazione e la tecnologia”, mettere per iscritto politiche “che favoriscano l’interscambio […] di talenti, capitale, informazioni e tecnologia” e sviluppare un “grande data centre regionale. Il piano Gba finanzierà la creazione di coworking, incubatori di startup e di centri per l’innovazione in una regione che oggi conta 270 distretti industriali e 330 mercati specializzati, come ha spiegato all’agenzia stampa Xinhua Deng Jiangnian, presidente dell’Accademia degli studi della Greater bay area.

Saranno favoriti gli scambi di tecnologia tra esercito e civili. E provviste statali serviranno ad accelerare i laboratori e i centri di ricerca. Come i cinque di Hong Kong dedicati a logistica, tessile, automobili, telecomunicazioni e nano materiali. I fondi di investimento dell’ex colonia britannica, piazza finanziaria internazionale, saranno agevolati se sostengono imprese della Greater Bay Area. La regione sarà cablata in fibra ottica e dotata di hotspot gratuiti in banda ultralarga. Infine un giro di vite alle regole sulla proprietà intellettuale tutelerà il made in Gba.

La strategia per il Guangdong si salda a Made in China 2025, altro piano pluriennale con cui Pechino punta all’avanzamento tecnologico e digitale dell’economia. I cardini sono investimenti in internet, supercomputer, intelligenza artificiale, robotica, automazione industriale, nuovi materiali, ferrovie, aerospazio, infrastrutture marittime e scienze della vita. Gli stessi che guidano le scelte delle industrie da corteggiare sul delta del Fiume delle perle.

Il piano li elenca tutti: “Tecnologie dell’informazione di nuova generazione, biotecnologie, macchinari di alto livello per la manifattura e nuovi materiali”, e poi “5G e internet mobile, biofarmaci, dispositivi diagnostici di ultima generazione, test genetici, medicina cinese moderna, robot intelligenti, stampa 3D e applicazioni del sistema di navigazione satellitare Beidou”.

Redditi Greater bay areaInfogramIl ruolo di ShenzhenPechino schiera Shenzhen nel confronto con le ex colonie, divenuta una, Hong Kong, una piazza finanziaria internazionale e l'altra, Macao, una meta di divertimento di lusso e gioco d'azzardo. Nella metropoli di 11 milioni di abitanti si trovano le sedi dei campioni dell’informatica e delle telecomunicazioni del Dragone, Huawei e Zte, e di Tencent, la cui app, WeChat, è una versione molto più evoluta dell’occidentale Whatsapp . Nella vicina Zhuhai ha preso casa il produttore di smartphone Meizu, a Dongguan c’è il quartier generale di Bbk Electronics, che controlla i marchi di telefonini Oneplus e Oppo.

Quest’area è stata il motore del primo sviluppo della Cina”, ricorda Giuliano Noci, prorettore del polo cinese del Politecnico di Milano. “A Shenzhen Deng Xiaoping varò il progetto del socialismo di mercato della nuova Cina”, racconta l’accademico: “Il Guangdong è stato oggetto di fenomeni di reshoring industriale (rientro di aziende in patria, ndr) ed è un concentrato dell’ict mondiale”.

Il fatto che Shenzhen faccia parte di una special economy zone rende la piazza molto attrattiva per fondare nuove aziende”, chiosa Vincenzo Antonetti, a capo della rete internazionale del centro per l’innovazione di Intesa Sanpaolo “Ragione per cui”, aggiunge il manager della banca, “molte startup cinesi scelgono questa piazza per sviluppare le proprie tecnologie”. Gli fa eco Fabrizio Ferri, equity partner in Cina per l'acceleratore di startup Istarter e responsabile Asia-Pacifico di di Fincantieri: Shenzhen “consente aigiovani imprenditori cinesi di trasformare velocissimamente idee in concept da testare sul mercato”.

Il quartier generale di Huawei a Shenzhen (Xiaolu Chu/Getty Images)

Smart city e ambienteEntro il 2022 l’obiettivo è di arrivare a una maggiore integrazione delle logiche di sviluppo urbanistico in ottica di smart city”, osserva Noci. Le metropoli dovranno aprire reciprocamente gli archivi dei dati, sviluppare una rete comune di sensori, una piattaforma cloud condivisa e creare un centro per la gestione della cybersicurezza.

Inoltre spetterà alle città definire gli standard per i certificati a firma elettronica, che potranno essere riconosciuti e scambiati in tutta l’area, rendere più omogenei gli scambi tra pagamenti elettronici e ridurre le tariffe telefoniche. Una sorta di politica sul roaming tal quale quella adottata dalla Commissione europea.

In cima all’agenda della futura smart city c’è l’emergenza acque. Il delta del fiume delle perle è uno dei più inquinati al mondo e la rete di sensori servirà anche a raccogliere dati per sviluppare un intervento di tutela dell’ambiente.

Inaugurato in Cina il ponte sul mare più lungo del mondo
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Le infrastrutturePer saldare l’alleanza tra le città la strategia della Greater Bay Area traina un programma altrettanto ambizioso di infrastrutture. Un esempio è il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao, inaugurato lo scorso ottobre: costato 15 miliardi di dollari, con i suoi 55 chilometri è il collegamento sul mare più lungo al mondo. Ed è solo un tassello.

Il piano prevede l’espansione dell’aeroporto di Macao, la costruzione di collegamenti per lo scalo di Hong Kong, il rafforzamento di Guangzhou e Shenzhen come hub per i voli internazionali. “A due ore e mezza di aereo dalla Greater bay area si trovano 3 miliardi di persone. C’è un effetto leva rilevante che rende l’area ancora più interessante”, spiega Noci.

Si apriranno cantieri per allargare porti, retro porti, magazzini e autostrade verso le regioni interne, dove sorgono i data centre di decine di multinazionali, da Apple a Dell. Una linea ferroviaria ad alta velocità ridurrà al minimo i collegamenti tra la costa est e quella ovest della foce.

La Greater Bay Area sarà foraggiata con i fondi di un altro superprogetto cinese, la Belt and road initiave (Bri, altrimenti detta nuova via della seta). Un piano mondiale di infrastrutture che assume sempre più i contorni di una tattica per costruire avamposti e drizzare le antenne nei mercati esteri. Messi uno a fianco all’altro, Bri, Gba e Made in China 2025 descrivono una strategia di lungo termine sempre più aggressiva. E che ha al centro un chiodo fisso per Pechino: l'autarchia tecnologica.

Unicorni cinesi del 2018InfogramLa rimontaLa guerra dei dazi con Washington, spiegano da Tech Silu, associazione che fa ponte tra startup in Europa e in Asia, i fondatori  Francesco Rossi, Francesco Lorenzini, il partner Tommaso Camponeschi e il consulente legale Edoardo Agamennone, “ha portato d un mutamento nella produzione dei semiconduttori. La Cina, e quindi i conglomerati che lavorano in essa, stanno vivendo una vera e propria corsa al chip design, per rendersi il più indipendenti possibili dagli Usa nell'industria dell'elaborazione intelligente del dato, una pietra fondamentale per la strategia lungo termine del paese asiatico”.

Dal 2008, anno delle Olimpiadi di Pechino la Cina è riuscita a spostare l’ago della bilancia degli investimenti in innovazione in suo favore. Allora alla Silicon Valley, raccontano da Tech Silu, “erano destinati i tre quarti degli investimenti mondiali in startup”. Mentre oggi, aggiungono, “un unicorno (una società digitale valutata più di un miliardo di dollari, ndr) su tre è made in China e ne nasce uno ogni quattro giorni”.

Toutiao (che vale più di Uber), Meituan, Didi Chuxing, Ant Financials, Lufax, Sensetime, Xiaomi sono le più famose di un gruppi di circa 200 aziende. Ant Financials, braccio finanziario dell’ecommerce Alibaba, “nel 2018 ha raccolto 14 miliardi di dollari, pari quasi a quanto investito su tutto il fintech in Europa e Stati Uniti (16 miliardi)”, raccontano da Tech Silu.

Il mercato ormai travalica la Grande muraglia. “Il mercato della app indiano è sempre più a matrice cinese”, citano da Tech Silu, dal 18% al 44% dal 2017 al 2018.E, aggiungono, “nel sud-est asiatico i giganti del tech cinese hanno avviato una guerra a colpi di acquisizione di utenti, replicando ed adattando i modelli che li hanno fatti diventare colossi in patria”.

La preparazione del Congresso nazionale del popolo a Pechino (foto di Greg Baker/Afp/Getty Images)

GREG BAKER

I tentacoli del PolitburoCon la firma degli accordi sulla cooperazione economica il governo di Pechino ha guadagnato influenza sulle due ex colonie. “Questa è una politica che va verso una progressiva e lenta omogeneizzazione dei sistemi di riferimento”, commenta Noci. Pechino intende sfruttare a proprio vantaggio la regola “un paese, due sistemi”. Ossia l’apertura ai mercati, agli investimenti e al commercio estero di Macao e Hong Kong, meno limitati rispetto alla madrepatria.

Ed è disposta ad allentare ulteriormente alcuni lacci, favorendo accordi di libero scambio e di movimento di merci e persone. “Mentre Hong Kong offre infrastrutture legali e finanziarie perfettamente integrate con la prassi internazionale, a Shenzhen è possibile progettare, realizzare, testare e ridisegnare in tempi brevissimi prototipi e soluzioni di ogni tipo”, osserva Antonetti. In cambio, però, Pechino vuole ficcare il naso nelle faccende politiche delle ex colonie. Tanto che l’accordo è stato criticato dagli osservatori che temono di più l’avvicinamento, come ricorda il World economic forum.

Finanziamenti alle startup di intelligenza artificialeInfogramCalamita per l’esteroPechino sta limando le regole per l’accesso delle imprese straniere al mercato cinese, tuttavia il percorso è ancora accidentato. Per per Antonetti il mercato orientale si presta per le startup perché “alcuni modelli di business trovano in Cina opportunità uniche al mondo, grazie all'elevato numero di early adopters (vedi ad esempio il fintech o biotecnologie) e al supporto governativo, nonché alla dimensione del mercato nazionale”.

Le idee per essere vincenti devono sempre avere il China angle*, quindi* appetibili per il consumatore cinese, e scalabili da subito”, osserva Ferri: “Ci sono diversi investitori cinesi interessati a collaborare con startup internazionali”. Tanto che il Politecnico di Milano ha aperto in Bovisa uno spazio per startup con la più importante università cinese, la Tsinghua, e, annuncia Noci, “replicheremo l’iniziativa a Chengdu”.

Nel 2018 la Cina ha attratto più investimenti in venture capital degli Stati Uniti e ha ricevuto quasi la metà del totale mondiale. Esistono sia investitori in capitale di rischio (fondi, società di investimento, piattaforme, incubatori) sia soluzioni di debito da parte di finanziatori cinesi ed esteri, nonché finanziamenti per assumere talenti cinesi e non. L'accesso al funding è però molto competitivo, e la dimensione dei financing rounds molto più grande rispetto alla media europea”, spiega Antonetti. Tech Silu, per esempio, sta sviluppando un fondo ad hoc per tenere il passo.

Intesa ha siglato un accordo con un incubatore israeliano, the Floor Hk, per accelerare scaleup a caccia di partner e investitori cinesi. “Investire in Cina nel settore digitale non la considererei un’alternativa agli Usa, ma unastrategia lungimirante e necessaria per chiunque intenda operare in unmondo globale”, chiosa Ferri. Per Tech Silu, per esempio, la corsa al chip è una buona opportunità per le startup di quel settore.

Resta un interrogativo cruciale: come saranno tutelati i brevetti? Da Tech Silu spiegano che la Cina sta lavorando a incrementare la protezione della proprietà intellettuale. Ma i rischi esistono ancora, specie in campo tecnologico, perché Pechino “pone il trasferimento tecnologico come condizione di fatto per la presenza in Cina. Questo punto è stato oggetto di ripetute rimostranze da parte delle autorità statunitensi ed europee e ci si attende un miglioramento della situazione nei prossimi mesi”.

Investimenti cinesi in EuropaInfogramLe barriere europeeSugli scambi di tecnologia con la Cina ora si accende il faro della Commissione europea. Ad aprile entrerà in funzione il nuovo sistema di screening sugli investimenti esteri. Obiettivo: controllare chi punta soldi, dove e in quali attività in Europa e alzare uno scudo in caso di mosse predatorie o di attacchi a settori ritenuti prioritari per l’Unione.

Di fatto Bruxelles estende a livello comunitario forme di protezione già adottate dai singoli paesi (come l’Italia). Nel mirino c’è proprio lo shopping del Dragone. Un rapporto di Merics, gruppo di ricerca europeo sulla Cina, e Rhodium Group, centro studi statunitense, ha dimostrato che l’Europa è la principale destinazione degli investimenti esteri cinesi: 29,7 miliardi di dollari nel 2017.Acquisti tattici, in settori come telecomunicazioni, macchine industriali, energia e infrastrutture. Ora, però, Bruxelles avrà l’ultima parola.