Facebook, YouTube e gli altri social: il 2018 inizia in salita

I social network dovranno affrontare grandi sfide per questo 2018: prima di tutto, rispondere alle domande "etiche" che con forza arrivano dalla società e dalla politica

(Foto: Muhammad Raufan Yusup/Unsplash)

Il 2017, più che mai, è stato l'anno in cui i padri fondatori della rete hanno dichiarato il fallimento di molte delle idee che ne accompagnarono la nascita, dall'ex presidente e Ceo di Twitter Even Williams a Peter Sunde (Co-fondatore di The Pirate Bay). Qualcosa è andato storto, da quel tempo di quelle promesse di democrazia, parità di opportunità, meritocrazia.

Non è solo una questione filosofica: nel corso dei prossimi mesi i maggiori servizi online dovranno rispondere alle domande che sono arrivate con urgenza nel corso dell'anno passato – dalla politica e, in parte, dall'opinione pubblica – e che li hanno interrogati con forza sui temi come sicurezza, propaganda, arginamento della violenza e controllo dei contenuti che vengono pubblicati ogni minuto, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.

Una presa di coscienza del fatto che no, forse l'internet come era stato pensato non può rappresentare quella corsia preferenziale della democrazia che si pensava e che forse essere connessi in 2 miliardi, contemporaneamente, alla stessa piattaforma, aiuta a mettersi in contatto, ma non necessariamente a comunicare.

Sotto il cappello di termini come "hate speech", "revenge porn", "cyberbullismo", "fake news", si trovano le richieste mosse alle grandi autostrade dei contenuti online di fare il possibile, se non per impedire il problema in toto, almeno per evitare di specularci.

YouTubeLa piattaforma streaming di Google ha un problema non banale da risolvere: fare in modo che nelle 400 ore di video caricate ogni minuto non compaiano contenuti violenti e di incitamento all'odio e che restino online quelli pronti all'uso di una propaganda difficile da estirpare.

Nei confini tra il palesemente illecito e ciò che si camuffa meglio, si annida il proselitismo non solo islamico, ma anche neofascista e di suprematismo bianco

YouTube non può certo garantire due pesi e due misure tre estremismi di diversa matrice. Ancor più difficile sarà serrare i ranghi delle regole della community, fino a includere tra gli inappropriati anche quei video il cui contenuto serpeggia ai confini di una vera e propria zona grigia.

A proposito di aree di confine, hanno rappresentato un'eccezione alla regola i video di Anwar al-Awlaki, noto come "l'islamista di YouTube". Il predicatore,  ucciso da un drone americano in Yemen, nel 2011, era protagonista di un lascito di sermoni, letture, lezioni. Autore di video da lui stesso pubblicati con riferimenti e inviti alla violenza nei confronti degli Stati Uniti, era stato anche ripreso in molteplici occasioni, nel corso della sua attività di Imam, proprio negli States.** **

Le regole del sito parlano chiaro in termini di rimozione di contenuti di incitamento e di account proprietari per chi risulti nelle liste collegate al terrorismo, non era facile capire cosa potesse succedere in casi in cui una persona passasse da una violazione conclamata a un contenuto apparentemente innocuo, per di più pubblicato da altri. Secondo le notizie riportate, sono stati rimossi quasi nella loro interezza: oltre 50mila video cancellati. I quasi 20mila rimanenti sono per lo più notizie che riportano vicende a lui legate.

Già nei primi mesi del 2017 l'azienda aveva annunciato nuove assunzioni dedicate al monitoraggio (senza fornire dettagli numerici) e un più massiccio uso dell'intelligenza artificiale per il riconoscimento automatico di contenuti impropri: questo accadeva all'indomani di un boicottaggio da parte di alcuni inserzionisti che avevano trovato le proprie pubblicità associate a video estremisti.

A novembre sono arrivati altri dati, con sbandierate rimozioni di video e irrigidimento delle linee guida. "Abbiamo registrato un aumento di video spacciati come adatti alle famiglie, ma che chiaramente non lo erano", ammetteva un post ufficiale.

Gli occhi di bue sono accesi, per questo 2018, su chi controlla.

FacebookIl regno di Mark Zuckerberg dovrà dimostrare che l'interferenza della Russia, o di chi per lei, non può passare nuovamente inosservata. Il social network non può essere la terra franca della propaganda politica: l'allarme del team sicurezza di Facebook sull'uso strumentale della piattaforma era arrivato già lo scorso aprile, anche se ha registrato un gran clamore, che invece è arrivato con il Russiagate. Dopo la baraonda, l'azienda ha provato a correre ai ripari, annunciando anche nuove assunzioni di moderatori preposti al monitoraggio dei contenuti.

L'operazione è difficile perché la politica, a Facebook, serve

La politica a Facebook serve sia per il peso che ha sugli inserzionisti, sia perché Zuckerberg da tempo lavora per rendere la sua piattaforma funzionale agli impegni civici, dalle comunità locali in su. Senza contare l'importanza che per l'azienda possono avere tutti quei gruppi e movimenti d'opinione disposti a sborsare molto denaro per le loro campagne che non sempre potrebbero veicolare esplicitamente contenuti.

Un equilibrio difficile. Intanto, quello che dovrebbe succedere nei prossimi 12 mesi, tuttavia, è che l'algoritmo del social network cominci a penalizzare i post che invitano gli iscritti interagire con like, commenti o altre azioni ("metti un like/condividi se...", "tagga un amico che..."), visto che solitamente si tratta di tentativi di "engagement bait" e quindi assimilabile allo spam.

Difficile immaginare quali nuovi interventi saranno applicati per combattere il difficile ecosistema dei contenuti di cattiva qualità, ma su quelli illeciti, qualche governo ha smesso di aspettare: la Germania ha iniziato a rinforzare le leggi sull'hate speech. I siti con oltre 2 milioni di utenti che non rimuoveranno i post "palesemente illegali" ("obviously illegal") potrebbero essere soggetti a multe fino a 50 milioni di euro.

A Facebook, così come a Google e alla sua YouTube, per il futuro viene chiesto di rispondere con azioni etiche, forse prima che tecniche.

TwitterLa sorte di Twitter sembra sempre un po' così, appesa a un filo: gli utenti crescono, ma lo fanno in modo irregolare, mentre sugli utili ormai, devono averci messo una pietra sopra. Eppure, Twitter sta lì, roccaforte di un certo tipo di informazione, veicolo di comunicazioni ufficiali e corsia privilegiata del customer care.

Sembra che tutti sguazzino altrove e poi, invece, nessuno voglia rinunciarci. Dopo aver portato la rivoluzione contro la quale i più scongiuravano, cioè il crollo della soglia degli storici 140 per i post, soppiantati dai nuovi 280, ora Twitter può accantonare quest'annosa questione e passare oltre.

Ovviamente, in quanto a uso di bot per fini politici, la piattaforma di micro-blogging non si è certo risparmiata i piedi nel fango del Russiagate: Russia Today, il canale tv e web multilingue ha speso 274mila dollari nel 2016 in pubblicità per 1.823 tweet. Sicuramente anche a casa Dorsey serviranno indagini più accurate in cerca di bot fasulli e con scopi malevoli. Nel contempo, Twitter si era premurata di dotare i suoi utenti di maggiori strumenti di controllo (vedi la sezione "filtri" delle notifiche, per fare un esempio) contro le molestie e lo spam.

Se il suo funzionamento non fosse ancora ostile da digerire per molti, Twitter potrebbe raccogliere i frutti di quella voglia di ritorno alla nicchia che sembrano chiedere quegli utenti della rete stanchi delle abbuffate social generaliste (e in questo, Facebook detiene uno scettro quasi impossibile da acciuffare). Per evitare di restare nell'eterna friendzone, però, potrebbe sfruttare i suoi cavalli di battaglia, fornendo ancora maggiori strumenti per il servizio alla clientela.

Instagram, Messenger, WhatsAppIn casa Facebook, chi sembra cavarsela meglio è Instagram: forte della rinnovata spinta con le Storie, deve solo stare attento al nuovo cambiamento del Feed: una modifica così importante della home non arrivava dai tempi dei post che abbandonavano l'ordine cronologico in favore dell'algoritmo, e ancora non si mette la mano sul fuoco sul fatto che sia stata una buona idea.

Messenger vive un momento di gloria: è il momento dei bot, e lui ce l'ha. È il momento dei giochi, e lui ce l'ha. Prima l'uovo, o la gallina? Difficile dirlo, ma lui, il 2018, l'ha già programmato: arriva lo streaming live delle partite. E sta.

Anche nel caso di WhatsApp, il pericolo riguarda, semmai, la privacy: la Francia, dopo Regno Unito e Germania, ha dato un mese di tempo al servizio per smetterla di condividere i dati degli utenti con mamma Facebook. Per il resto, sembra godere di buona salute, anche se, ancora una volta, deve guardarsi le spalle dalla concorrenza. Telegram continua ad aggiornarsi e sembra a macinare nuovi utenti in Italia.

SnapchatAnche se gli inserzionisti sembrano avere ancora qualche remora, Snapchat prosegue per la sua strada: dopo aver reso le sue Storie una realtà di altri social network, nel 2018 raccoglierà i frutti (in teoria) delle collaborazioni con TripAdvisor e Foursquare, per fornire informazioni sui luoghi direttamente nelle Storie. Ma ancora più interessante sarà vedere cosa verrà fuori dal suo accordo con NBCUniversal e dalla conseguente costruzione di uno studio di produzione (Santa Monica), dedicato all’intrattenimento mobile.

Un recente sondaggio condotto da The Verge e Reticle Research ha mostrato sfiducia e noncuranza degli americani nei confronti dei social network e dei giganti della tecnologia: per loro, il 2018, sembra iniziare un po' in salita.