Thelma, di cosa hanno paura i norvegesi?

Horror che non fa saltare sulla sedia ma crea un'atmosfera tesa intorno a ciò che abbiamo dentro, Thelma è una bella sorpresa. Al cinema dal 21 giugno

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Di cosa hanno paura i norvegesi? Del proprio intimo, che quello che sentono dentro si manifesti all’esterno, davanti a tutti, che ciò che di pauroso e inconfessabile si cela in loro diventi incontenibile. Questo emerge da Thelma, un film dell’orrore da un regista che non fa film dell’orrore, Joachim Trier, ma che si dimostra azzeccato. La ragazza del titolo la vediamo bambina, figlia di genitori che paiono temerla (e, in una bellissima scena, meditano di sopprimerla) e poi universitaria fuori sede, dalle campagne alla città. Tutta accollata e morigerata ha superato l’adolescenza a fatica, chiusa nel cristianesimo ma ora non ci sono più i suoi genitori a sorvegliare e lentamente le pulsioni a lungo tenute a freno sembrano pronte ad uscire. E cominciano i guai.

Crisi epilettiche durante le quali si verificano strani fenomeni annunciano che c’è qualcosa in lei di preoccupante e la spingono a cercare una risposta sia medica, sia nei suoi parenti. La nonna che le avevano detto essere morta e invece è solo internata, attutita dai medicinali non parla, non risponde, guarda solo fissa un punto lontano. E così forse era anche Thelma, attutita dalla religione che ne ha soppresso gli istinti e ha anche tenuto a bada quel qualcosa che ora si agita e fa sparire le persone.

Non c’è certo da saltare sulla sedia in Thelma, non è quel tipo di horror, ma il clima di tensione e paura che crea ha molto a che vedere con le fobia sociali, con il terrore di mostrarsi per come si è. Trier crea quest’atmosfera in maniera non diversa da come Alfredson fece in Lasciami entrare, film svedese (questo è norvegese) che nel 2008 ha rivisto la maniera in cui la paura può essere ambientata nell’estremo nord Europa.

Tra un romanticismo lesbico temuto tanto quanto inseguito e il senso che qualcosa di terribile sia sempre lì da venire, Thelma rappresenta benissimo il senso di liberazione di una studentessa fuori sede, lontana dalla famiglia che l’aveva sempre tenuta letteralmente in ginocchio, a contatto per la prima volta con tutte le proprie passioni e terrorizzata all’idea che queste siano visibili, che abbiano delle ricadute sull’ambiente esterno.

È indubbio che le scelte di Trier per la creazione del suo mondo, così vicino allo stadio animale, così denso di laghi, boschi, uccelli, animali vari e così echeggiante di un’era in cui ogni stranezza femminile veniva ricondotta alla stregoneria, opera un contrasto efficace con lo scenario urbano moderno (di nuovo come avveniva in Lasciami entrare). Così, benché nessuno lo dica, un certo senso ancestrale, primitivo ed eterno, più vecchio dell’uomo, si fa strada nella testa delle persone e risveglia antichi timori anche in chi norvegese non è e rimane meno impressionato dei momenti di pubblica vergogna di Thelma.

Soprattutto in questo modo il film riesce a superare a destra la religione come credenza. In Thelma nessuno ha una parola cattiva per la religione ma è sempre molto chiara la maniera in cui essa sia usata: per tenere buono quel che Thelma ha dentro annullandola come essere umano. Non è mai chiaro, e questo è un bene, se liberandosi Thelma si affermi come essere umano completo o se abbia scatenato qualcosa che andava tenuto fermo, di certo non ci sono dubbi sull’effetto che le credenze hanno sugli esseri umani.