BlacKkKlansman fonde poliziesco anni '70 e ideali

Spike Lee torna alla grande dopo anni di esiti incerti, con un film di sbirri infiltrati e razzismo molto stiloso e citazionista ma senza rinunciare alla denuncia sociale. Dal 27 settembre al cinema

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Erano anni che Spike Lee non consegnava alle sale un film così chiaro, deciso e godibile, eppure anche così sofisticato, stratificato e cinematograficamente audace nel cercare di mettere in correlazione ieri e oggi; cinema sul razzismo, razzismo nel mondo reale, discorsi politici e poliziesco. Tutto avviene a partire da uno spunto clamoroso: un poliziotto afroamericano negli anni ‘70 infiltrato nel Ku Klux Klan. Ed è una storia vera.

Era il primo poliziotto afroamericano della sua contea e si infiltrò via telefono nel più noto clan suprematista bianco del paese. Si finse bianco imitando voce ed accento dei bianchi, conquistò i vertici del clan e per gli incontri dal vivo usava una controfigura, un altro poliziotto (bianco ovviamente) che prendeva il suo posto. Nel film questi è Adam Driver e qui entra un’altra dimensione del film, quella del risveglio di una coscienza politica d’appartenenza, ma ne parliamo dopo. La grande forza di BlacKkKlansman è di essere un film divertente, dotato di una scrittura brillante e piena di humor ma anche impeccabile dal punto di vista del poliziesco e dell’azione. Nel suo percorso di caccia e arresto dei criminali è inscritta un’altra marcia, quella della lenta conversione di diverse persone a diverse idee.

In questi anni ‘70 neri di una cittadina di provincia tipicamente bianca, tra arrivo di movimenti culturali afroamericani, confronti di idee e uno dei migliori discorsi integrali mai visti al cinema (lo farà un rappresentante della consapevolezza nera nelle prime scene, almeno 10 minuti montati benissimo in cui la parola si sposa alle immagini perfettamente) c’è la qualità del cinema di quegli anni, il poliziesco duro di infiltrati e grandi pistole, un genere storicamente repubblicano che qui cambia di segno e viene usato per integrare e non condannare. Ma c’è anche il cinema del passato, razzista e suprematista bianco con immagini da Via col vento e citazioni da Nascita di una nazione, affrontato a scacciato dalle nuove immagini di BlacKkKlansman.

Posto all’incrocio tra arte, cultura pop e politica, quest’ultimo film di Spike Lee è il raro esempio di cinema molto commerciale che affronta a viso aperto i temi più importanti. Anche per questo ricorda molto i film di Tarantino (per quanto tra i due registi non corra buon sangue), per la sua voglia di risolvere conflitti del passato con le armi del cinema. Un buddy movie con poliziotto bianco e poliziotto nero che combattono i cattivoni infiltrandosi, diventa una maniera per sgominare il Ku Klux Klan e per fare il più immancabile e dovuto dei paragoni con il presente. In maniera anche un po’ didascalica lungo tutto il film sentiamo frasi tipiche di Trump, concetti tipici della propaganda di Trump e frasi allusive come “Nessuno con queste idee potrebbe mai essere eletto presidente!”. Non è il massimo della sottigliezza ma se si guarda al modo in cui nel complesso BlacKkKlansman unisce tutte le sue anime, parla, mostra e lotta contro il razzismo con le armi dei film, la visione è appassionante.

Eppure tra tutte le anime del film è quella della nascita di una coscienza a stupire di più. Coinvolge il poliziotto bianco, cioè Adam Driver (e la sua bravura a recitare con pochi gesti contribuisce all’effetto finale), un ebreo a cui non interessa per niente il destino degli ebrei o l’antisemitismo del Ku Klux Klan o ancora la propria appartenenza. Eppure lungo tutto il suo periodo infiltrato nel KKK, a contatto con il razzismo, di fronte a certe frasi, certi atteggiamenti e una visione del mondo così ingiusta, anche lui lentamente matura un odio superiore a quello che ha per gli altri criminali, uno personale che viene da dentro.

È la parte più forte perché, si capisce, è esattamente quel che anima Spike Lee. Come molti altri è per l’integrazione, è contro il razzismo e si pone domande complicate sulla convivenza nella diversità e quale sia la maniera migliore di arrivare agli obiettivi politici. Come pochi però la sua urgenza è potente, viene da dentro, è arrabbiata in certi punti e terribilmente sensibile in altri.