Cesare Battisti, ne uccide più la pistola che la penna

L'ex terrorista, giudicato per quattro omicidi, potrebbe rientrare presto in Italia. Il nuovo presidente brasiliano non ha interesse a tenerlo nel Paese dove ha riparato anni fa

Gli scrittori e gli artisti in generale hanno sempre avuto una sorta di attenuante per il male provocato, garantita dalla loro opera. Un artista incarna la vita, nel bene e nel male, e la mette su pagina o sulla tela. L’errore può avere una sua sublimazione nell’arte. Parte del mondo intellettuale e letterario concesse questa attenuante a Louis-Ferdinand Céline, l’autore di un capolavoro assoluto del Novecento, Viaggio al termine della notte, ma anche di tre libelli che gli causarono l’accusa di collaborazionismo. Celebre, per il viscerale odio per gli ebrei esplicitato, rimane Bagatelle per un massacro di cui la vedova dell’autore (incredibilmente sopravvissuta al marito da oltre cinque decadi, oggi ha 105 anni) ha vietato la pubblicazione.

Louis-Ferdinand Céline

Céline scrisse cose odiose sugli ebrei. Proprio come Battisti, per evitare la pena capitale (che invece subì un altro autore collaborazionista suo contemporaneo, Robert Brasillach), fuggì. Non in Brasile ma in Danimarca dove rimase fino al 1951, anno in cui tornò in patria. Ammise il proprio razzismo e antisemitismo, motivandolo con l’amore per la patria. Continuò a scrivere romanzi – la Trilogia del Nord – in cui raccontò con tono vittimistico la sua fuga attraverso l’Europa in fiamme, senza mostrarsi pentito o anche solo sforzandosi di riconsiderare le sue posizioni. Letterariamente era troppo grande perché il mondo intellettuale lo liquidasse come un infame. E così lo si è non dico perdonato, ma scusato, quasi giustificato.

Le analogie tra Céline e Battisti ci sono. Anche il terrorista è fuggito. Per ben due volte: la prima in Francia, approfittando della Dottrina Mitterand che dava rifugio a chi aveva incarnato la protesta degli anni di piombo pure nel peggiore dei modi, cioè con una pistola in mano. La seconda fuga è avvenuta in Brasile, dopo che il decadimento della Dottrina minacciava l'ex terrorista di venire estradato. Come l'autore francese, l'ex terrorista fece appello al mondo intellettuale per evitare il peggio, nello specifico a Fred Vargas, pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzeau, giallista apprezzata anche in Italia, che sembra lo abbia aiutato nella fuga. Qui da noi, in favore di Battisti, si sono spesi autori quali Valerio Evangelisti e Giuseppe Genna. Entrambi, insieme al collettivo Wu-Ming, scrissero Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono.

Il problema di Battisti, rispetto a Céline, è che se il francese sbagliò armato di penna, l'altro lo fece armato di pistola. E poi c'è la qualità letteraria. Céline ha raccontato il cuore oscuro del Novecento che aveva conosciuto per condizione sociale – era figlio del ceto piccolo borghese –, per esperienza sul campo – combatté nella prima guerra mondiale – e professionale – fu medico. Anche Battisti ha un materiale biografico che potrebbe essere spunto di grandi opere. Ha incarnato il lato oscuro della protesta, ha militato nel gruppo dei Proletari Armati per il Comunismo, è stato in carcere, è evaso, dapprima in Francia per poi volare in Messico dove ha fondato il giornale Via Libre, e ha stretto amicizia con l'autore Paco Ignacio Taibo II. È tornato a Parigi dove al lavoro di portinaio ha affiancato quello di scrittore. Poi la fuga in Brasile, dove ha conosciuto e sposato una donna da cui ha avuto una figlia (secondo alcuni, il personaggio di Alex, interpretato da Claudio Bisio che nel film Puerto Escondido fugge nell'omonima località messicana, sarebbe ispirato a Battisti).

La vita di Battisti sembra un romanzo e alcuni motivi li ritroviamo nei suoi lavori letterari. Ad esempio, Avenida Revolución o L'orma rossa. Sono opere che evidentemente non hanno stregato i lettori italiani come fece Céline e non gli possono garantire la stessa attenuante di cui parlavamo prima. Come mai? Per mancanza di effettivo talento artistico? Il Battisti sulla pagina non mostra una capacità di sublimazione del male commesso o conosciuto tale da potere in un qualche modo giustificarlo? O forse manca una classe intellettuale, una corrente politica che lo difenda? O semplicemente davanti a un uomo incriminato per omicidio per ben quattro volte – tre delle quali come concorrente nell'esecuzione, una come co-ideatore – non c'è capolavoro che tenga, la prigione ti tocca?

In effetti, in Delitto e castigo, per Dostoevskij è sufficiente far commettere due omicidi al suo personaggio, Raskol'nikov – il primo ideologico scatenato dall'odio sociale, l'altro non calcolato – per spedirlo nell'inferno del senso di colpa per il resto del romanzo, e poi in prigione. Quattro omicidi, forse, bastano e avanzano per riavere Battisti in Italia. Soprattutto quando è appena stato eletto un presidente che non ha nessun interesse a tenerselo e da noi c'è un ministro dell'Interno in perenne campagna elettorale e disposto a volare in Brasile per prenderlo "di persona".


Nota del redattoreA seguito delle critiche ricevute su Facebook riguardo al mio articolo, ritengo doveroso precisare che nello scriverlo non ho inteso avanzare in alcun modo una difesa di Cesare Battisti