5 cose da sapere su Wild Wild Country, la docuserie su Osho
Quando si comincia a vedere Wild Wild Country, il documentario originale in sei parti disponibile dal 16 marzo su Netflix, si rimane inizialmente disorientati. Perché non si capisce qual è il confine fra realtà e finzione e soprattutto non si capisce di chi si sta parlando. Si inizia dallo scontro fra una numerosa comune spirituale che si trasferisce dall'India all'Oregon e una cittadina di pochissimi americani vecchio stile, che si sentono minacciati da questa invasione.
Ma man mano che le scene si succedono e la ricostruzione della vicenda si snoda fra documenti d'epoca e interviste attuali si comprende che stiamo parlando di qualcosa che in qualche modo ci è familiare: l'animatore di quella comune, infatti, altri non è che** Bhagwan Shree Rajneesh**, il guro e mistico indiano conosciuto successivamente come Osho. Oltre a essere oggi il personaggio protagonista di fortunati meme virali, Osho è stato dagli anni Settanta e gli anni Novanta il carismatico e controverso animatore di un gruppo che appunto finì nel caso di cronaca al centro di questi documentari. Che rivelano una storia dalle mille sfaccettature.
1. Una pagina di storia dimenticata
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Una delle cose più sorprendenti di Wild Wild Country è l'abbondanza straordinaria di materiale d'epoca finita nel montaggio del documentario: riprese amatoriali, inchieste giornalistiche, ospitate televisive. Il materiale di repertorio si mescola appunto alle interviste dei personaggi coinvolti all'epoca (tutti tranne Osho, morto nel 1990), ma a colpire ancora di più è il fatto che nonostante questa abbondante copertura mediatica di questa storia nei decenni si siano perse le tracce.
Eppure è una pagina di storia americana esemplare sotto parecchi punti di vista. Quando nel 1981, infatti, Osho decise di spostare le sue attività negli Stati Uniti e trasferire dunque l'ashram che aveva radunato a Pune, in India, in una sperduta landa desolata nella contea di Waco in Oregon, tutti gli occhi del mondo vennero puntati su questa bizzarra contaminazione (contaminazione che divenne poi più letterale di quanto si possa pensare). Fiorirono polemiche, inchieste, indagini giudiziari e scontri più o meno violenti, sintomo di un'epoca in cui anime contrapposte si scontravano ai più diversi livelli della società.
2.La portata utopica
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Bhagwan Rajneesh in giovane età fece studi di filosofia ma capì ben presto che la sua vocazione era un'altra: quella di parlare in pubblico. Fine oratore, si costruì ben presto fama di affabulatore critico delle istituzioni considerate fra le più intoccabili in India, fra cui il misticismo induista e perfino quello che lui definiva il "masochismo" di Gandhi. Allontanandosi dal socialismo in voga all'epoca (da cui pur era stato attratto per un breve periodo), Rajneesh si costruì una specie di sincretismo che voleva la formazione di un "uomo nuovo", che coniugasse cioè la vocazione spirituale orientale con l'affermazione materiale occidentale.
Per altri aspetti, Osho predicava la liberazione personale e sessuale, la necessità di trovare un nuovo rispetto per il prossimo ma anche un rigido controllo delle nascite che sfiorava l'eugenetica. La sua portata dirompente e controcorrente attirò l'interesse non solo di numerosi indiani, ma anche di tantissimi europei e americani che in pieno post-68 vedevano in lui la perfetta sintesi delle culture occidentale e orientale. L'avversione dei puristi dell'Induismo e delle fazioni politiche vicine ai Gandhi, però, spinsero Osho alla decisione di spostarsi in Oregon. Là i suoi seguaci fondarono una nuova città utopica, Rajneeshpuram, fertilizzando un ranch prima desolato di 260 chilometri quadrati e dotandolo di abitazioni, dighe, infrastrutture e sistemi di agricoltura sostenibile.
**3.Lo scontro di civiltà **
Ma Wild Wild Country racconta appunto che nulla è perfetto come sembra. L'arrivo dei Sannyasins, così venivano chiamati i seguaci di Rajneesh, mise in allarme la popolazione locale, in particolare i 40 abitanti della cittadina di Antelope, un microscopico nucleo urbano abitato per lo più da pensionati. Questi vedevano di cattivo occhio i nuovi arrivati, bizzarri nei loro indumenti arancioni o porpora e che si sospettava praticassero comportamenti assolutamente anti-cristiani, come l'amore libero o i matrimoni poligamici.
Dopo qualche anno dall'arrivo dei seguaci di Osho, mentre Rajneeshpuram assumeva sempre più velocemente e chiaramente l'aspetto di una città destinata a ospitare fino a 10mila persone, i locali si fecero sempre più preoccupati (il motivo è quello di chi rifiuta i migranti di oggi: vengono qui a sovvertire il nostro ordine sociale e morale), scatenando una rapida escalation di dispetti prima e di violenze poi. I tentativi burocratici di sabotare la comune si ritorsero contro gli stessi abitanti di Antilope, che videro la propria cittadina letteralmente acquistata dai componenti dell'ashram.
4.Il caso giudiziario
I dispetti, le molestie varie e poi perfino l'uso della violenza non furono che i primi passi di una vicenda che assunse ben presto proporzioni ben più colossali e preoccupanti. Fra l'altro tutte le mosse del culto di Rajneesh, che per alcuni aveva l'aspetto di una vera e propria setta, assomigliano molto a quelle dei Colpevoli Sopravvissuti della serie Hbo The Leftovers, anche se quelli vestivano di bianco, fumavano in continuazione e non parlavano.
A ogni modo i Sannyasins decisero ben presto di reagire in modo duro. Dopo un attentato a un loro hotel si armarono fino ai denti, in una contraddizione evidente con il loro atteggiamento spirituale, e misero a punto una serie di progetti che, secondo le ricostruzioni giudiziarie, avevano tutta l'aria di veri e propri piani criminali se non terroristici. Senza svelare troppo, ci andarono di mezzo degli avvelenamenti collettivi e anche il tentato omicidio di un pezzo grosso della magistratura americana. "Sappiate che quando verrete a cercarci saremo pronti a proteggerci", dice a un certo punto il sindaco di Rajneeshpuram.
5.Ma Anand Sheela
Ovviamente la figura carismatica e controversa di Osho percorre come un filo conduttore tutti gli episodi di questa docuserie, mettendo in luce i suoi insegnamenti tanto quanto le sue contraddizioni più evidenti (come il muoversi in Roll Royce e il godere di finanziamenti milionari che arrivavano perfino da Hollywood). Ma la vera protagonista di Wild Wild Country è senza dubbio Ma Anand Sheela, la segretaria personale e portavoce di Rajneesh, quella che fu il vero capo pragmatico della città utopica ma anche, secondo molte sentenze, la mente dietro alle scelte più estreme della comunità (poi disconosciuta dallo stesso Osho).
Dopo aver studiato e essersi sposata per la prima volta negli Stati Uniti, Sheela giovanissima tornò in India dove divenne una delle più ferventi seguaci e poi la potentissima segretaria personale di Osho. Lei fu fondamentale nella decisione di trasferirsi in Oregon e nell'organizzazione di tutte le fasi di costruzione. Ma, secondo i giudici, fu anche colei che orchestrò i piani criminali per salvaguardare l'incolumità di Rajneeshpuram e dei suoi abitanti. Intervistata oggi per il documentario, Sheela dimostra una lucidità impenitente su quanto accaduto, rivendicando il coinvolgimento di Osho in ogni scelta e che tutto è stato fatto anche per liberarsi di lei: "Ogni corona vuole la sua ghigliottina", dice con una fermezza spiazzante.
Ma Anand Sheela è quasi la raffigurazione perfetta dell'ambiguità di un movimento che mosso dai più alti scopi spirituali si riduce alle azioni più impensabili della natura umana. Le contraddizioni ma anche le sorprese (a un certo punto spunta una connessione anche con il fondatore della Nike) sono proprio la base pulsante di Wild Wild Country, un documentario che, al netto di qualche ripetitività, è forse uno dei titoli migliori pubblicati su Netflix quest'anno. Perché viaggia sui confini ambigui tra libertà religiosa e fanatismo, fra accettazione del diverso e sovversione dell'ordine pubblico, fra convinzioni individuali e salvaguardia pubblica.