Perché la "razza bianca" di Fontana non è in pericolo (e anche se lo fosse non ci sarebbe niente di male)

"Non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra razza bianca devono continuare a esistere o devono essere cancellate", ha detto il candidato leghista alla Regione Lombardia Attilio Fontana. Ecco cosa dice la scienza a riguardo

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LaPresse/Varese Press

(foto: Ap/LaPresse)[/caption]

Razzismi e teorie del complotto vanno regolarmente a braccetto. L’ultimo esempio è di domenica 14 gennaio, quando il candidato alla Regione Lombardia del centrodestra, il leghista Attilio Fontana, ci ha deliziato con la seguente uscita: "Non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano: dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate" (per poi correggere il tiro: "È stato un lapsus, un errore espressivo, intendevo dire che dobbiamo riorganizzare un'accoglienza diversa che rispetti la nostra storia, la nostra società"). È l’ennesimo risorgere di una vecchia idea cospiratoria, quella del genocidio bianco. L’idea che dei poteri occulti stiano cercando di distruggere la purezza razziale europea e in particolare portare all’estinzione la razza bianca (che scientificamente non ha senso, come vedremo dopo), vuoi fomentando l’immigrazione, vuoi diminuendo le nascite permettendo l’aborto. La sua declinazione attuale più diffusa è la teoria del Piano Kalergi, ma è un classico dei movimenti di estrema destra in tutte le sue forme. È una paranoia che ha delle conseguenze culturali e politiche molto reali nel mondo occidentale. Ma ha senso?

Partiamo con quello che c’è di vero. È vero che la natalità in Europa è bassa, abbastanza bassa da far sì che la popolazione, se non viene rimpolpata dall’immigrazione, sia in decrescita. Le popolazioni di Germania e Italia, senza immigrazione, nel 2050 diminuerebbero rispettivamente del 18% e del 16%, per esempio. Visto che l’immigrazione nei paesi europei coinvolge una percentuale significativa di etnia non-europea, potremmo pensare quindi che sia in atto un rimpiazzo della popolazione.

Guardando i numeri il quadro però è un po’ diverso. È difficile trovare numeri e previsioni sulla composizione etnica europea ma, visti anche i timori del leghista medio, un buon parametro sostitutivo può essere la percentuale di popolazione di religione islamica prevista nel tempo in Europa, secondo questo studio del Pew Research Center. L’Islam non è una razza, ovviamente, ma è abbastanza pacifico che un buon numero dei migranti islamici in Europa sia di etnia non europea, e rappresentano il 53% dell’immigrazione in Europa. Ora, prima il dato attuale: nonostante sia facile sentire in giro neologismi fallaciani come Eurabia, la percentuale di islamici in Europa non superava, nel 2016, il 5%, con una punta dell’8,8% in Francia. Secondo le previsioni, anche nel caso di più elevata immigrazione – praticamente un continuo flusso di rifugiati in aggiunta alla migrazione normale – la percentuale in Europa nel 2050 si attesterebbe sul 14% (con una punta del 30,6% in Svezia; l’Italia ne ospiterebbe un medio 14,1%, meno di Francia, Germania o Regno Unito). È un cambiamento demografico e culturale non banale: ma è ben lungi da una sostituzione (senza contare che anche gruppi etnici con una storia assai tormentata, come gli ebre, hanno mantenuto una certa identità genetica: non si vede perché alle etnie di origine europea non debba accadere). Sembra probabile, semmai, che lentamente vada a mescolarsi e diluirsi la componente etnica minoritaria all’interno di quella maggioritaria. Certo, se assumiamo, come si faceva ai tempi della segregazione razziale in Usa, una one-drop rule (regola della goccia di sangue) per cui chi non era di pedigree 100% bianco era automaticamente considerato meticcio, la razza pura diminuirà.

E qui si entra nel vivo, ovvero il delicatissimo concetto di razza. Discuterlo richiederebbe più di un libro, ma qui ricordiamo giusto un paio di punti fondamentali. Il primo è che il concetto di razza, biologicamente, è problematico. Si tende a semplificare con “le razze non esistono”, di norma per intendere che non esistono, oggi, sottospecie o rami evolutivi ben definiti di Homo sapiens. È vero anche che, in generale, la variazione genetica all’interno di un singolo gruppo etnico è assai maggiore della differenza genetica media tra gruppi etnici diversi. Questo non vuol dire che non abbia senso nessuna distinzione geografica: i nostri occhi non ci ingannano vedendo che un islandese e un nativo australiano sono piuttosto diversi, fisicamente. Considerando numerosi geni è possibile correlare certe combinazioni di caratteri genetici alla provenienza geografica. Quello che si ricava però è un continuum genetico di popolazioni che sfumano l’una nell’altra senza confini netti, e non necessariamente divise lungo le demarcazioni che culturalmente chiamiamo razza. Per esempio, la grande maggioranza della diversità genetica umana è in Africa: due popoli africani possono facilmente essere più diversi geneticamente fra loro di italiani e cinesi. Più in generale, vari popoli di pelle scura come aborigeni australiani, nativi delle Andamane o Bantu sono completamente indipendenti fra loro, anche se ai nostri occhi appaiono neri.

Allo stesso tempo, culturalmente il concetto di razza bianca è assai malleabile. È un concetto che nasce tra il 16esimo e 17esimo secolo, e che di volta in volta ha incluso o escluso popoli diversi, o li ha inclusi su piani diversi. Per vario tempo i popoli asiatici sono stati considerati bianchi, mentre per esempio in Usa italiani, ebrei o perfino gli irlandesi occupavano una sorta di terra di mezzo in cui erano considerati sì bianchi, ma razzialmente inferiori ai bianchi di origine teutonica o anglosassone. I nazisti consideravano i pallidi slavi una razza inferiore da soggiogare. Anche se oggi un rifugiato siriano medio non ha un aspetto particolarmente diverso da quello di un europeo, per Attilio Fontana sono un problema per la sopravvivenza della “razza bianca”. Come si vede, non c’è niente di oggettivo in tutto ciò.

Ma la vera questione, a un certo punto, è: che differenza fa? Poniamo anche che un domani, come il protagonista del film L’uomo caffellatte (Watermelon Man, 1970) ci si svegli tutti neri. Cambierebbe qualcosa di significativo? Geneticamente non cambierebbe quasi nulla. Saremmo tutti umani come prima, e faremmo le stesse cose di prima. E per chi ama la diversità, la mescolanza di geni tra popolazioni diverse non creerebbe un mélange indistinto. Al contrario, aumenterebbe la quantità di combinazioni genetiche, creando letteralmente una maggiore diversità nella popolazione. E la maggiore diversità biologica tende a essere un vantaggio: le popolazioni che si ostinano a rimanere pure, riproducendosi solo al loro interno, tendono a soffrire di problemi genetici. Quindi state tranquilli: la nostra razza non è in pericolo. Ma anche se lo fosse, non ci sarebbe niente di male.