Cronaca

‘Ndrangheta, iniziato il processo al boss Marcello Pesce e ai suoi 25 fedelissimi

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Sono accusati di associazione mafiosa, illecita concorrenza, intestazione fittizia di beni, e di avere favorito la latitanze del “ballerino”

E’ iniziato per 25 affiliati al clan Pesce di Rosarno il processo davanti al gup di Reggio Calabria. Sono accusati di associazione mafiosa e una serie di intestazioni fittizia di società che, nella maggior parte dei casi, per la Dda reggina apparterrebbero a Marcello pesce detto “u ballerinu”. E il maggiore imputato è proprio l’ex primula rossa della cosca di Rosarno, latitante per sei anni e arrestato in una casa del centro storico della cittadina della Piana nel 2016.

Gli imputati Il processo prende il nome dell’inchiesta “Recherche”, naturale prosecuzione di indagine del blitz della squadra mobile reggina nel covo di Marcello Pesce. Alla sbarra anche Rosario Armeni, Vincenzo Cannatà, Francesco Demasi, Gessica Demasi, Carmelo Garruzzo, Michelino Mangiaruga, Roccaldo Messina, Joel Velazquez Morillo, Giuseppe Nicolaci, Santo Pensabene, Antonino Pesce classe ’82, Antonino Pesce classe ’92 (latitante), Rocco Pesce, Savino Pesce, Angelo Tiziano Porretta, Biagio Porretta, Rocco Rachele, Michelangelo Raso, Filippo Scordino, Bruno Stilo, Nicola Stilo, Vincenzo Straputicari, Giuseppe Tripodi e Andrea Villari.

L’inchiesta Il provvedimento di fermo emesso dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, del 4 aprile 2017, aveva colpito 25 persone, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante Marcello Pesce, arrestato l’1 dicembre 2016 – aggravati dalla circostanza di aver agevolato un’organizzazione criminale aderente alla ‘ndrangheta – nonché di traffico e cessione di sostanze stupefecenti.

L’attività investigativa La vasta piattaforma tecnica messa in piedi tramite molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videosorveglianza avrebbe consentito agli inquirenti di far luce sulle condotte criminali poste in essere dal gruppo che faceva capo a Marcello Pesce e, più in generale, all’intera cosca rosarnese, con particolare riferimento al monopolio forzoso del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli per conto terzi, alle intestazioni fittizie di beni (finalizzate ad evitare i provvedimenti da parte della magistratura) ed al traffico degli stupefacenti.

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