Cronaca

‘Ndrangheta nel Vibonese, omicidi Franzoni e Pugliese Carchedi: chiesti tre ergastoli

Il pm della Dda di Catanzaro ha chiesto cinque condanne per i due due efferati delitti commessi a Vibo tra il 2002 e 2006. Tra gli imputati ci sono i mandanti e gli esecutori materiali

omicidio-pugliese-carchedi

Un altro processo contro la 'ndrangheta vibonese volge al termine. Dopo quello scaturito dall'operazione "Conquista" che si è chiuso in primo grado con la condanna all'ergastolo per quattro esponenti di primo piano del clan Bonavota di Sant'Onofrio (LEGGI QUI), sempre davanti al gup del Tribunale di Catanzaro è stato il turno del processo con rito abbreviato nato dall'inchiesta "Outset". Il pm della Direzione distrettuale antimafia Andrea Mancuso ha chiesto tre ergastoli e due condanne per altrettanti omicidi consumati nel Vibonese tra il 2002 ed il 2006.




Carcere a vita. In particolare rischiano l'ergastolo Rosario Primo Mantino, 43 anni di Vibo Marina, ritenuto dagli inquirenti l'esecutore materiale dell'omicidio di Giuseppe Pugliese Carchedi, ucciso il 17 agosto del 2006 lungo la strada che collega Pizzo a Vibo Marina. Il carcere a vita è stato chiesto anche per Enzo Giampà, 48 anni, di Lamezia Terme e per Salvatore Mantella, 44 anni di Vibo Valentia, cugino del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, coinvolti nell'omicidio di Mario Franzoni avvenuto nell'agosto del 2002 a Porto Salvo, frazione di Vibo Valentia. Otto anni di carcere sono invece stati chiesti per i collaboratori di giustizia Domenico Giampà, 37 anni di Lamezia Terme e per Andrea Mantella, 45 anni di Vibo Valentia.




L’omicidio Franzoni. Quali killer del delitto di Franzoni vengono indicati due esponenti del clan Giampà di Lamezia Terme, in uno scambio di favori fra lametini e vibonesi. Un particolare svelato dagli stessi pentiti che hanno consentito alla Dda di Catanzaro di fare quadrato sull’omicidio di Mario Franzoni, assassinato nei pressi di un incrocio stradale nella frazione Porto Salvo, mentre era seduto alla guida di una macchina ferma ad uno stop, freddato da sei colpi di pistola calibro 9, in testa, al collo, al torace e all’addome. Il primo pentito a parlare è stato Giuseppe Giampà, ai vertici della cosca Giampà di Lamezia che ha indicato mandanti ed esecutori del delitto nei verbali di interrogatorio resi il 12 settembre e il 15 ottobre 2012, nonché il 25 gennaio 2013. In particolare Giuseppe Giampà ha riferito scrive il gip nell’ordinanza “circostanze particolarmente precise che poteva descrivere solo chi aveva piena conoscenza del fatto”. L’omicidio, secondo Giuseppe Giampà, era stato ordinato da Andrea Mantella e Francesco Scrugli per conto della cosca Lo Bianco indicando il luogo dell’esecuzione e il fatto che la vittima, di origini vibonesi, trasferitosi in Brianza, nella circostanza si trovava in Calabria per le ferie. Giuseppe Giampà ha indicato l’autore materiale dell’omicidio in Domenico Giampà e in Enzo Giampà, colui che guidava lo scooter il giorno del delitto.




L’omicidio di Pugliese Carchedi. L’omicidio di Giuseppe Pugliese Carchedi matura invece all’interno degli ambienti criminali vibonesi. Ne danno conto, nello specifico, due dei quattro collaboratori di giustizia Raffaele Moscato e Andrea Mantella. Il primo sostiene che a compiere l’agguato mortale a Pugliese Carchedi siano stati Rosario Mantino, Rosario Fiorillo, detto “Pulcino”, Michele Fiorillo, detto “Zarrillo”, e Davide Fortuna come “ritorsione per una precedente intimidazione”. Il pentito riferisce come sia stata la vittima a mettere in atto “un’azione provocatoria”, la sera stessa dell’omicidio. “Con atteggiamento di sfida, infatti, Pugliese-Carchedi era sceso da una Lancia Y insieme Francesco Macrì per andare a prendere un caffè al bar Ciros’ di Vibo Marina”. In quel frangente, “Davide Fortuna, Michele Fiorillo e Rosario Fiorillo si erano allontanati dal posto per ritornarvi dopo una decina di minuti”. Fortuna, vittima della faida del Mesima nel 2012, “aveva chiesto una macchina in prestito” a Moscato che, “intuendo volessero fare qualcosa a Pugliese, gliela aveva negata”. Molto tempo dopo, a distanza di qualche giorno dall’omicidio di Fortunato Patania, a Moscato sarebbe stato proprio Rosario Fiorillo a chiarire i dettagli dell’agguato, mentre era in compagnia di Rosario Battaglia. “Ci disse – ha riferito il collaboratore di giustizia – che avevano avuto il tempo di andare a Piscopio e prendere altre armi. Rosario Fiorillo mi ha raccontato che per poter sparare meglio si era tenuto con la mano dal maniglione posto sopra uno degli sportelli, lamentandosi del fatto che aveva potuto lasciare le impronte digitali”. Ha raccontato, inoltre, “che lungo il tragitto, avevano più volte tamponato la Lancia Y su cui viaggiava la vittima unitamente a Francesco Macrì e che quest’ultimo si è allontanato lanciandosi sotto il burrone, mentre la Renault 5 è stata sotterrata dai componenti del Commando in una cava nella zona di Porto Salvo”. La mattina successiva, Davide Fortuna, avrebbe ironizzato con Moscato che “Pugliese è volato in cielo, Macrì nel burrone”.

Più informazioni