Cre di Lomello, falsificavano i pesi per far soldi con i fanghi
L’accusa: «Sparse 8.300 tonnellate di fanghi in otto Comuni lomellini. Alcune aziende erano compiacenti, nei campi finivano rifiuti non trattati»
LOMELLO. «Questi terreni sono quelli dove abbiamo fatto il giochino dei pesi». La conversazione, intercettata dai carabinieri, è tra due dipendenti dell’impianto di Lomello, da martedì sotto sequestro. Il “giochino”, secondo gli inquirenti, era annotare sui formulari in uscita dall’impianto Cre di Lomello pesi inferiori a quelli che venivano realmente sparsi sui campi. In alcuni casi i fanghi destinati a più appezzamenti venivano addirittura sversati su un unico terreno, allo scopo di risparmiare sui costi di trasporto e di spandimento.
Secondo l’accusa contestata a Rodolfo Verpelli, amministratore della Cre, la società che gestisce l’impianto, Andrea Fontana (40 anni di Dorno, addetto alle operazioni di spandimento dell’impianto di Lomello), le dipendenti (solo indagate) Rossella Baraldo e Deborah Ferro, e Antonio Maria Carucci (responsabile della qualità e gestione dei fanghi), sarebbero stati sparsi in maniera illecita 8.296 tonnellate di fanghi su diversi terreni, alcuni di proprietà di aziende agricole compiacenti.
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Le cifre e le date degli scarichi dei camion, che uscivano dall’impianto di Lomello, sono state ricostruite dagli inquirenti attraverso un’agendina, che è stata trovata all’interno della ditta e sequestrata. La stessa agendina è servita ai carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Milano per mappare i terreni su cui sarebbero avvenuti gli sversamenti illeciti. Solo sui terreni di un’azienda agricola di Tromello, sarebbero state sparse illecitamente 1.890 tonnellate di fanghi tra febbraio e marzo 2015. Oltre mille tonnellate risultano poi sparse nel Comune di Gambolò, sui terreni di un’altra azienda agricola, ma il lungo elenco dei terreni prosegue con appezzamenti, riconducibili a diverse altre aziende, a San Giorgio di Lomellina, Vigevano, Ottobiano, Mortara, Parona e la stessa Lomello, dove ha sede l’impianto.
Le intercettazioni telefoniche fanno emergere l’esistenza, secondo l’accusa, di una contabilità parallela, con i pesi fittizi, a quella ufficiale, che doveva essere all’apparenza in regola. In un telefonata una dipendente dice a un collega: «Cosa abbiamo scaricato ieri? Vuoi il reale o il non reale?». Il collega sembra non capire e allora lei precisa: «Ma si, stiamo facendo come l’anno scorso».
Ma i titolari dei terreni e delle aziende agricole erano a conoscenza delle irregolarità negli spandimenti dei fanghi sui loro appezzamenti? Le loro posizioni devono ancora essere valutate, ma intanto nell’ordinanza di custodia cautelare vengono messe nero su bianco le responsabilità di Rodolfo Verpelli, che oltre a essere amministratore della Cre è anche titolare della società agricola Asso: secondo l’accusa avrebbe messo a disposizione della società che gestisce l’impianto i propri terreni per le operazioni di spandimento dei fanghi.
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Ai fini della massimizzazione dei profitti, secondo le accuse mosse dagli investigatori, la Cre ha superato le quantità di fanghi autorizzate, «aggirando fattori quali la scarsità e il basso fattore di spandimento dei terreni disponibili e l'alto contenuto di sostanza secca dei fanghi recuperati. E’ riuscita poi, illecitamente, a risparmiare sui costi di trattamento/condizionamento e trasporto del rifiuto, questo alla luce di due importanti fattori che possono limitare l’attività di recupero nel suo complesso: la quantità e la qualità di appezzamenti disponibili (intesa come capacità di ricevere più o meno fanghi in base al cosiddetto fattore di spandimento) e il contenuto di sostanza secca dei fanghi (genericamente la loro densità/concentrazione)».
Il primo fattore, sostengono gli inquirenti, infatti, «obbliga l’impianto ad approvvigionarsi solo delle quantità che potrà poi spandere a seconda degli ettari di terreno disponibili (limite in ingresso), mentre il secondo può ridurre la quantità di fanghi in uscita, poiché ogni appezzamento ha un proprio fattore di spandimento che limita la quantità di sostanza secca (la parte più solida) utilizzabile (quindi, il fango "tal quale" nel suo insieme). Le omissioni in materia di analisi e di trattamenti di recupero, inoltre, hanno completato il disegno criminale, comportando quale effetto ultimo lo spandimento sui terreni agricoli di fanghi sostanzialmente privi di qualsivoglia trattamento».
Secondo le accuse mosse a Verpelli e agli altri arrestati «le attività illecite descritte hanno così consentito, nell’arco temporale che ha riguardato le attività di indagine, alla Cre di realizzare un ingiusto profitto pari a circa 4,5 milioni di euro»: in quattro anni. In base agli elementi raccolti dal sostituto procuratore della Repubblica di Milano, Piero Basilone (che conduce l’indagine) la Cre, secondo le accuse, pur avendo rispettato in apparenza i limiti fissati nell’autorizzazione amministrativa di cui disponeva, avrebbe «in realtà superato le quantità di fanghi spandibili, con conseguente risparmio (illecito) sui costi di trattamento/condizionamento e trasporto del rifiuto».
E come? Attraverso condotte, dice l’accusa, come «lo scorretto tracciamento del rifiuto, mediante false indicazioni sui formulari dei pesi e delle caratteristiche dello stesso (percentuale di sostanza secca non rispondenti al vero) e uso dello stesso formulario per più trasporti; false comunicazioni di dati alle autorità preposte al rilascio dell'autorizzazione per l'utilizzo agronomico dei fanghi; falsificazioni delle analisi dei terreni; falsificazione delle analisi dei fanghi; lo spandimento del fango anche su terreni coperti da neve o comunque gelati (benché la normativa vieti tale pratica)».
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