Milano, 8 giugno 2017 - 08:16

Milano, dalla copia dell’Etna in eruzione (1632) alle palme: i mille volti di piazza del Duomo

Architettura, manifestazioni ed emozioni. Un viaggio a ritroso nel tempo alla scoperta della storia del luogo simbolo di Milano, dove batte il cuore della metropoli

Oggi. La vista di piazza del Duomo con le palme (LaPresse) Oggi. La vista di piazza del Duomo con le palme (LaPresse)
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Chi si scandalizza delle palme in Piazza del Duomo provi a fare un giro in Sormani o alla Braidense per consultare uno dei tanti reperti illustrati sulla storia di Milano. Troverà all’anno 1632 l’incisione di Melchiorre Gherardini raffigurante la costruzione di un enorme monte Etna, eruttante fuoco e lapilli per festeggiare l’ingresso in città dell’Infante di Spagna. L’allora informe spazio antistante la cattedrale ancora in costruzione (i lavori erano iniziati nel 1386) era diventato un raduno per manifestazioni pubbliche, un mercato. Ogni tanto un’ordinanza proibiva il commercio davanti alla cattedrale, famosa quella del 1548 di Ferrante Gonzaga, ma poi il caos tornava a intaccare lo spazio che nel tempo aveva sostituito il Broletto come cuore civico di Milano. «Le palme di fronte al Sagrato — commenta lo storico e architetto Marco Romano — fanno discutere proprio perché toccano un luogo altamente simbolico».

Era stato per primo Vincenzo Seregni, dal 1555 architetto della Fabbrica del Duomo, che voleva affiancare da due torri angolari, ad avere l’idea di una grande piazza. Uno spazio per alcuni secoli dominato al centro dalla cattedrale perennemente in costruzione e a sinistra, guardando la chiesa, dai cosiddetti portici dei Figini, che correvano sotto un palazzo commissionato nel 1467 da Pietro Figino a Guiniforte Soleri. Sul lato destro si imponeva il casone detto del Rebecchino, con albergo, osteria e tanta pulsante vita popolare. Dietro, dove oggi è piazza Diaz, si sviluppava il quartiere malfamato del Bottonuto.

Non si può tuttavia parlare di Piazza del Duomo, così come noi più o meno la conosciamo, sino agli anni Sessanta dell’Ottocento, quando i picconi abbatterono il portico borghese dei Figini, con cui scomparve anche il caffè Mazza frequentato da Cesare Beccaria, e il popolare Rebecchino. La visita in città del re di Prussia Guglielmo I accelerò le demolizioni. Ma era già partito il progetto del geniale e sfortunato Giuseppe Mengoni, l’architetto che nel 1860 aveva vinto il concorso per la costruzione della Galleria e per ridisegnare piazza del Duomo. Era sindaco Antonio Beretta, gran patriota con il fiuto per gli affari, avendo acquisito, pare, delle abitazioni fatiscenti da rivendere alla società che avrebbe finanziato i lavori della Galleria.

La moderna piazza del Duomo divenne tale dal 31 dicembre 1877, quando fu inaugurato il «salotto di Milano», cerimonia cui il povero Mengoni non potè partecipare perché morì il giorno prima precipitando da una delle impalcature. Rimase tuttavia un work in progress, o un’incompiuta se pensiamo che il palazzo immaginato dal Mengoni proprio dove oggi sorgono le palme non venne mai costruito.

Negli ultimi decenni, piazza del Duomo era sempre più diventata il luogo dove i milanesi accorrevano a ogni appuntamento storico. Lì negli anni Novanta del Settecento si erano svolte le prime manifestazioni patriottiche, lì si era radunata la folla nel 1813 per manifestare contro l’odiato ministro delle Finanze Giuseppe Prina, ucciso l’anno successivo. In piazza del Duomo nel 1867 i carabinieri avrebbero disperso la folla che inneggiava a Giuseppe Garibaldi al grido di «vogliamo Roma».

Le manifestazioni cominciavano a far paura, tant’è che nel maggio 1898 Bava Beccaris, aveva ordinato di sparare contro la gente che protestava per la tassa sul macinato. Meglio tener lontana la folla e costruire aiuole davanti alla Galleria e, dopo l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II il 24 giugno 1896, far circolare attorno alla statua i tramway, ancora per poco trainati da cavalli.

Chi non aveva paura della folla era Benito Mussolini che il 6 ottobre 1934 volle una delle sue«adunate oceaniche» (copyright Orio Vergani) in una piazza del Duomo arricchita da due fontane. Il fascismo impresse il suo marchio estetico con la costruzione nel 1939, sul luogo dove sorgeva la manica lunga di Palazzo Reale, del duplice edificio dell’Arengario ideato dai magnifici quattro Griffini-Magistretti-Muzio-Portaluppi.

Poi arrivò la guerra, le bombe degli Alleati e in piazza del Duomo, a sottolinearne ancora il valore simbolico, nell’estate 1942 si trebbiava il grano. Con il 25 aprile 1945 i partigiani sfilavano nella piazza dei milanesi, da allora sempre più diventata uno dei cuori pulsanti della vita repubblicana. Qui si sono svolte le grandi manifestazioni operaie e studentesche, i funerali per le vittime di Piazza Fontana, i comizi politici, qui i milanesi si sono ritrovati per festeggiare l’elezione di Giuliano Pisapia. Ma la gente accorre anche per festeggiare la vittoria dello scudetto del Milan o dell’Inter.

Sembra quasi impossibile sradicare questa visione «duomocentrica» quasi ancestrale, che ha contaminato anche scrittori e poeti non milanesi, come il triestino Umberto Saba sedotto dalle pubblicità sino a qualche anno fa brulicanti sull’ottocentesco palazzo Carminati («Invece di stelle ogni sera si accendono parole») o come il salernitano Alfonso Gatto che immaginava che Leonardo scendesse dal monumento di piazza Scala e attraversasse piazza del Duomo «con i suoi quattro paggetti, a parlar di Navigli».

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