Milano, 27 giugno 2017 - 07:39

Il Bar Marino diventa bottega storica «Gaffe e strategie bevendo un caffè»

Da Berlusconi a Fo, qui da sempre s’intreccia la politica della città

Il bar di via Marino a due passi dal Comune Il bar di via Marino a due passi dal Comune
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«Quanto zucchero?». «Di chi è questa tazzina?». «Giro il cucchiaino?». «Guardi, l’ho già mescolato io». Al Bar Marino se lo ricordano ancora quel 28 aprile del 2001 quando Silvio Berlusconi, da presidente «operaio», «panettiere», «pompiere», si trasformò nel presidente «barista». Prese posto dietro al bancone e preparò decine di caffè per la massa di persone che si erano riversate dentro per poterlo salutare. Oltre al caffè offriva anche il cioccolatino «perché qui in Lombardia si usa così».
È la vera buvette di Palazzo Marino. Luogo di incroci trasversali, di accordi politici, di riunioni politiche improvvisate. Se Porta a Porta di Bruno Vespa è la terza Camera del Parlamento, il Bar Marino di via Marino, a due passi dal Comune, è la seconda Camera del Consiglio comunale. Ieri, al locale, gestito dal 1998 da Riccardo e Benedetto Cozzoli è stata conferita la targa di Bottega Storica. Un riconoscimento a quegli esercizi commerciali attivi da almeno 50 anni nel medesimo comparto merceologico e il Bar Marino nasce nel 1939. A quei tempi a frequentarlo erano i giocatori del Milan. Poi sono arrivati i politici.

Ci sono passati quasi tutti i sindaci. Cozzoli si ricorda Gabriele Albertini, Letizia Moratti, Giuliano Pisapia. Beppe Sala, invece, non ci ha ancora messo piede. Ma si ricorda anche episodi curiosi, come quel giorno che si presentò Emanuele Fiano, allora capogruppo del Pd a Palazzo Marino. Bar affollato e Fiano aveva una grande fretta. Stava per iniziare il Consiglio comunale. L’attuale parlamentare prende un dolce, si rivolge a Riccardo e dice: «Te lo pago dopo». Fa due passi fuori dal bar e viene fermato da due uomini in borghese. Guardia della Finanza. «Per favore, favorisca lo scontrino». «Chiaramente - dice Riccardo - lo scontrino non ce l’aveva. E siamo stati multati tutti e due. Ancora oggi ridiamo di quell’episodio».
Anche l’allora ministro della Difesa, Ignazio La Russa, era un frequentatore abituale del bar. Era il luogo d’incontro con il suo collega di partito e vicesindaco, Riccardo De Corato. Arriva trafelato, cellulare all’orecchio. Con la borsa spazza via tutti i bicchieri di vino dai tavoli.

Un disastro. Non si perde d’animo. Passa il telefono a Cozzoli. Dall’altra parte la voce è inconfondibile: «Sono Silvio Berlusconi, metta pure tutto sul mio conto». Si risale più in là nel passato. Cozzoli non c’era, il bar sì. L’ondata leghista del 1993 porta al governo della città Marco Formentini. I consiglieri del Carroccio eleggono il Bar Marino a sede distaccata della futura via Bellerio. Pendono dalla bocca di Philippe Daverio, allora assessore alla Cultura. I tavolini si trasformano in piccoli seminari di storia dell’arte e di storia della cultura e il critico d’arte diventa di fatto lo svezzatore pedagogico della Lega. Passano gli anni e passano i volti. Dario Fo, Franca Rame, Emma Bonino. Si vede anche Pierluigi Bersani. Maurizio Lupi per lunghi anni è stato di casa. Si incontra Paolo Del Debbio che litiga con l’allora consigliere di Rifondazione, Umberto Gay. Ci sono, forse, solo due altri locali che potrebbero raccontare la storia della cronaca politica locale. Uno ha chiuso: il mitico Gennaro dove Albertini mangiava ogni giorno. E Papà Francesco, ristorante preferito dagli assessori della giunta Pisapia.

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