Milano, 18 settembre 2017 - 22:29

Villa Borghese, rifiuti-degrado-paura
Declino dell’ex salotto della Dolce vita

Il parco, tra aree abbandonate e gente allo sbando. La sera tardi e la notte c’è un universo a parte Di giorno visitatori e turisti tra i disperati

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Suso Cecchi d’Amico, la grande sceneggiatrice dei film di Visconti, Monicelli e tanti altri, alcuni anni prima della sua scomparsa nel 2010, raccontava agli amici che negli anni Cinquanta passeggiava spesso, e a lungo, di notte a villa Borghese con Anna Magnani, scambiando idee e sogni. «Oggi — diceva tristemente — sarebbe impensabile». Suso si occupò a lungo del parco, che le era caro perché lo guardava da una vita dalle finestre di casa, e ingaggiò battaglie civili (puntualmente inascoltate) contro il degrado, girando anche un cortometraggio.

Da quei racconti sono passati più o meno dieci anni. Dall’incuria di allora, già intollerabile, Villa Borghese è precipitata nel disastro. Rapidi flash. Ingresso del parco ideato dal cardinal Scipione Borghese nei primi anni del 1600, siamo all’uscita di via Veneto. Sulla sinistra i tipici non-luoghi che Roma produce, prima inaugurando tra gli applausi, e subito colpevolmente dimenticando, opere e strutture di servizio.

Ecco due scale mobili chiuse, abbandonate, dirette verso il nulla, recintate, strapiene di rifiuti più o meno umani, bottiglie di vetro, sterpaglia. Lì una rampa di accesso a un varco sotterraneo sbarrata, ridotta a immensa latrina e a discarica di metalli. Tra questi due monumenti al disastro romano, tracce di un accampamento notturno: scarpe di donna spaiate, due mutande femminili appese a una siepe, più in là un boxer maschile, una borsa da donna beige, persino una tastiera rotta di un computer, due scatole di profilattici, una di biscotti. A poche decine di metri c’è lo sfondo de «La Dolce Vita», ma è retorico e soprattutto superfluo ricordarlo.

Di simili meandri Villa Borghese, che con i suoi 80 ettari è il parco più vasto della Capitale, è strapiena. Impossibile un’anagrafe. Ma si dorme, o ci si accampa, accanto alle prese d’aria del megaparcheggio. O lungo l’asse del Muro Torto, che divide il Pincio dalla villa.

Altri riferimenti di una marginalità nomade e disperata sono i sottopassi automobilistici di Corso Italia, Grande Opera per le Olimpiadi del 1960: d’inverno, sui lati vicini a via Veneto, c’è la fila di cartoni che coprono esseri umani. Poi c’è un altro agglomerato, in quel suk inguardabile di piazzale Flaminio, all’uscita monumentale della Villa, a un passo da piazza del Popolo: altri cartoni, altre vite perdute.

Le notti di Villa Borghese, a differenza di quelle ricordate da Suso Cecchi d’Amico, sono pericolose e sconsigliabili. Tutto questo terreno produce storie più o meno gravi di molestie sessuali. O la famosa violenza contro una cittadina americana nel 2011 in una cabina dell’Acea della villa. Due anni fa emerse una storia di ricatti e di prostituzione maschile a Villa Borghese, col coinvolgimento di alcuni prelati. Perché l’abitudine è antica, la sera tardi e la notte c’è un universo a parte tra l’ingresso della Galleria Nazionale in viale delle Belle Arti e le rampe che portano all’altro ingresso della villa, verso piazzale Firdousi e piazza Paolina Borghese, o verso piazzale Picasso, non lontano dal Bioparco, cioè l’ex Giardino Zoologico.

Anche in pieno giorno, soprattutto d’estate, la Villa ospita tanti turisti e molti dimenticati dalla vita. Li riconosci per la bottiglia di birra in mano già di mattina, e lo sguardo fissato nel nulla. Ma dire che villa Borghese, con la sua centralità nel cuore di Roma, tra i Parioli e via del Corso, sia diventata l’unico inferno romano sarebbe falso e riduttivo. Giorni fa, un senza casa accampato nel portico dell’antica Basilica dei Santi Apostoli diceva: «Di notte Roma si trasforma in un immenso dormitorio. E nessuno vuole rendersene conto». Quella, sì, è la verità.

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