Milano, 16 novembre 2016 - 06:51

Caravaggio, il Maestro di Hartford
e le origini della natura morta

La mostra: dopo sei anni torna a Roma anche la celebre «Canestra», primo esempiodi un genere destinato a diventare di gran moda nella Roma del Seicento

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Una mostra in uno dei più straordinari musei del mondo — la Galleria Borghese — su un pittore... mai esistito. Non è uno scherzo. Perché come è noto il cosiddetto Maestro di Hartford — al quale è appunto intitolata l’antologica inaugurata il 15 novembre, L’origine della natura morta in Italia - Caravaggio e il Maestro di Hartford — è in realtà una formula di comodo con cui storici dell’arte, in mancanza di autografie indiscutibili o verificabili con oggettività documentaria, sono soliti indicare la produzione di uno o (assai più probabilmente) più pittori. Nomi convenzionali, riferibili talvolta, non sempre, alla località in cui si trova un certo tal quadro, come è il caso appunto dell’olio in mostra Vasi di fiori e frutta su tavolo, celebre e bellissimo dipinto del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford.

Misteri irrisolti: le identità (una? tante?) degli autori dei quadri

Da tanti decenni ormai si dibatte sulle possibili identità dei vari Maestri. Quello di Hartford, il cosiddetto Maestro della fiasca di Forlì, il Maestro delle mele rosa, il Pensionante del Saraceni, il Maestro del Vasetto e via elencando (c’è addirittura un Maestro della natura morta Acquavella, che deve il suo, di nome, a un mercante di New York!). Tutti name-pieces piuttosto suggestivi, ma che denunciano la sempiterna difficoltà di attribuzioni certe proprio nel genere che questa esposizione indaga: la pittura di natura morta nel primo Seicento e la lezione di Caravaggio. Anzi, per la precisione, il contesto romano della fine del XVI secolo e gli sviluppi della pittura caravaggesca nei primi tre decenni del ’600.

Selezione curata da Anna Coliva, direttrice del museo, e Davide Dotti

Va subito detto che la mostra — curata da Anna Coliva, direttrice della Borghese, e da Davide Dotti — è bella e raffinata; buona per i palati fini degli addetti ai lavori, e anche abbastanza scenografica e adatta al grande pubblico (poi certo, ogni volta con quelle pannellature negli eccezionali saloni ci si chiede se davvero quel meraviglioso unicum della Borghese, contenitore/contenuto indissolubili e forse intoccabili, siano il luogo adatto per delle temporanee, ancorché di livello e scientificamente fondate). Una mostra facilitata dalla presenza di due opere-chiave di Caravaggio in collezione, il Bacchino malato e il Ragazzo con canestra di frutta e che torna a far vedere a Roma, dopo sei anni, anche un altro celebre capolavoro del Merisi, la Canestra in arrivo dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano, tradizionalmente indicato come il primo quadro che conferisca a un brano di natura ritratto dal vero la medesima dignità formale e interpretativa riservata fino allora ai soggetti di figura, di storia sacra o mitologica.

Quaranta opere esposte, con qualche capolavoro

Per molto tempo, ancora negli anni successivi, la natura morta fu considerata dagli stessi artisti un genere secondario. Per questo non le firmavano mai. Per questo oggi i tanti problemi e quel festival attribuzionistico che continua, non privo, a volte, di effetti sul mercato. Quaranta in tutto le opere qui esposte, e tra queste qualche capolavoro (Caravaggio a parte). Ché se restano aperti i problemi classificatori e d’identità certa degli artisti, è pur vero che quella della natura morta nei primi trent’anni del Seicento a Roma fu una stagione straordinaria, con dipinti d’altissimo tenore formale, forse tra le più belle realizzazioni naturalistiche mai eseguite, almeno in Italia.

Confisca papalina e ritorno «a casa» dopo oltre 400 anni per sei opere

Particolarità della mostra: sei dei quadri esposti sono tutti presenti in collezione Borghese fin dai primi del Seicento, grazie alle brame collezionistiche del cardinal Scipione: si tratta delle due citate opere di Caravaggio ancora oggi in collezione (il Bacchino e Ragazzo con canestra) e delle quattro nature morte che la critica tende a riunire sotto il nome, appunto, del Maestro di Hartford. I sei quadri tornano a riunirsi per la prima volta dopo 400 anni in occasione di questa mostra. Provengono dal famoso sequestro di 105 dipinti (avvenuto nel maggio 1607) che papa Paolo V Borghese effettuò, tramite agente fiscale pontificio, ai danni del Cavalier d’Arpino, impresario d’arte, mercante, forse collezionista oltre che artista più richiesto in quei tempi. Il Papa girò poi immediatamente le opere confiscate a suo nipote cardinal Scipione, creatore della Villa e della raccolta che si ammira in buna parte anche oggi. «Per questa ragione innanzi tutto — hanno spiegato gli organizzatori — una mostra come questa doveva di necessità svolgersi dentro la Villa Borghese, perché le vicende della sua nascita e della sua affermazione si intrecciarono con la storia e i protagonisti di questo luogo».

Info

Galleria Borghese, fino al 19 febbraio. Piazzale Scipione Borghese 5, tel. 06.8413979, www.galleriaborghese.beniculturali.it. Catalogo: Skira. Orari: da martedì a domenica 9-19, ultimo ingresso ore 17. Visite regolamentate

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