Argentina, il presidente sfida la Chiesa: «Legalizzare l’aborto»

Sara Gandolfi

È forse finalmente arrivato il momento di fare il passo tanto atteso, nell’accidentato e tortuoso cammino dell’Argentina verso il riconoscimento dei diritti civili delle donne. Il presidente Alberto Fernández, un peronista moderato, ha presentato al Congresso un progetto di legge per legalizzare l’interruzione di gravidanza. Dopo l’annuncio, lanciato via twitter con un video, migliaia di donne sono scese in piazza per festeggiare la notizia.

In Argentina, come in buona parte dell’America latina, l’aborto è illegale, sulla base di una legge del 1921, tranne che a seguito di stupro o quando la vita della madre è in pericolo, ma anche in questi casi le donne sono perseguibili penalmente. Le interruzioni di gravidanza clandestine restano una piaga diffusa e cruenta. Secondo alcune stime, si eseguono almeno 500.000 interventi illegali all’anno,, spesso in condizioni di igiene terribili, almeno 40.000 donne finiscono in ospedale per complicanze e un centinaio perdono la vita. Già nel 2018, sulla spinta delle manifestazioni di piazza, si era avviato il processo di depenalizzazione, ma senza il sostegno dell’allora presidente Mauricio Macri e alla fine il Senato aveva bocciato il progetto di legge (38 voti a 31).

L’Argentina, patria di papa Francesco, è un Paese a grande maggioranza cattolica e sicuramente la Chiesa resta un convitato di pietra molto ingombrante in ogni dibattito pubblico su un tema che resta tabù in gran parte del subcontinente americano. Soltanto in Uruguay, a Cuba e in Guyana l’interruzione nelle prime settimane di gravidanza è consentita e regolata con leggi di stampo occidentale. In El Salvador, Honduras, Nicaragua e Haiti non è permessa neppure in caso di stupro o di pericolo di vita per la madre. E neppure le «presidentas» di sinistra del recente passato - Dilma Rousseff in Brasile, Cristina Fernández de Kirchner in Argentina e Michelle Bachelet in Cile - hanno mai osato intaccare quel tabù. Anche se bisogna riconoscere alla Bachelet il merito di aver strenuamente difeso la legalizzazione dell’aborto almeno per stupro, rischio per la vita della donna o impossibilità di sopravvivenza del feto nel 2016 e poi nel 2017 (prima non era previsto).

Cristina Fernández de Kirchner, che attualmente è vicepresidente dell’Argentina, si è addirittura opposta all’annuncio del suo «superiore» (nessuna parentela), sostenendo che non ci sono i voti al Congresso per far passare la legge. Ma il presidente Alberto Fernández, fin dall’insediamento lo scorso dicembre, ha promesso che la liberalizzazione dell’aborto - «un problema di salute pubblica» — sarebbe stata uno dei punti cardine del suo programma. Nel video lanciato su twitter ha sottolineato che il suo obiettivo è garantire «che tutte le donne accedano al diritto integrale alla salute», al centro del quale c’è l’iniziativa sul diritto all’aborto, e un altro disegno di legge che crea «l’assistenza di 1000 giorni, per rafforzare l’assistenza integrale durante la gravidanza e per i bambini nei primi anni di vita».

Il dibattito sull’aborto è tornato di grande attualità lo scorso anno quando una bambina di undici anni, vittima di uno stupro, è stata costretta a partorire il suo bambino con un taglio cesareo, nonostante avesse ripetutamente chiesto di poter interrompere la gravidanza. In Argentina peraltro sono già garantiti buona parte dei diritti civili come il matrimonio gay e il diritto all’identità di genere. Non l’aborto però, secondo molti osservatori proprio per le pesanti pressioni di una Chiesa cattolica ancora molto potente nel Paese. Ma ormai è fortissima anche la pressione della società civile. Nel marzo scorso, migliaia di donne avevano sfilato nel centro di Buenos Aires «tingendo» simbolicamente il cuore della città di verde, il colore della lotta per l’aborto legale, e di viola, il colore del femminismo. Poi sono sopravvenute le restrizioni dovute al Covid e tutto si è fermato, fino all’annuncio del presidente.

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