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INTERVISTA | Matteo Orfini: "Basta sconfittismo, il centrosinistra a Roma vince anche senza M5s"

Dalla scelta del candidato per le prossime amministrative al giudizio su Virginia Raggi passando per il perimetro della coalizione di centrosinistra, l'ex commissario del Pd romano torna a parlare delle vicende della città

Matteo Orfini a Tor Bella Monaca

Dalla fine del commissariamento aveva smesso di parlare delle vicende romane. Una scelta per non intralciare il lavoro degli altri e per non porsi al centro della  ribalta. Sollecitato da RomaToday Matteo Orfini torna dopo tre anni a dire la sua sul partito democratico romano e sulla coalizione di centrosinistra. Lo fa in un momento di passaggio per il partito nazionale e per la città di Roma che vive la fine del mandato di Virginia Raggi e la travagliata scelta del centrosinistra di un candidato  alternativo per le prossime elezioni amministrative. Nei giorni dello stop (momentaneo?) a Gualtieri e dello sfrenato toto nomi, l'ex commissario, ora "parlamentare di periferia" - come ci tiene a definirsi - , offre spunti al dibattito analizzando i problemi del partito, che ha guidato in una fase complicata come quella del post Mafia Capitale, e quelli della città. 

Orfini, Letta ha congelato la candidatura di Gualtieri. Che idea si è fatto di quel che è accaduto?

Non è stato un passaggio positivo. Ha fatto bene il segretario Letta a mettere ordine e a prendere in mano la situazione: la scelta del candidato sindaco di Roma non è vicenda solo romana, riguarda tutto il paese. E' giusto che se ne occupi il segretario nazionale e che gli venga dato il tempo giusto per occuparsene. E' necessario  costruire un percorso che cancelli e superi il chiacchiericcio perché la scelta del candidato non può essere gestita con fonti anonime e retroscena sui giornali, ma va portata avanti all'interno della coalizione con un percorso chiaro ed esplicito. 

Mi pare di capire che ritiene le primarie un passaggio indispensabile

Assolutamente sì, ovviamente Covid permettendo. Ed ovviamente vanno estese a tutti i municipi. Non possiamo chiuderci in una stanza, spartendoci la candidature: i cittadini non capirebbero. Dobbiamo invece permettere loro di decidere. 

Primarie vere però, non con un candidato vincente già in partenza, deciso dalle correnti

Le primarie sono sempre vere e rappresentano un bagno di democrazia importante. A volte riescono a costruire esperienze nuove ed importanti: penso ad esempio alle vittorie di Pisapia a Milano e Doria a Genova che hanno poi vinto le elezioni e ben governato le città.

Che perimetro immagina per la coalizione?

A Roma c'è un centrosinistra storicamente forte e vincente che va dalla sinistra radicale, con le varie associazioni e movimenti, fino al centro. Mi pare sia questo il modello da riproporre. 

Non c'è, nella sua visione, il Movimento cinque stelle all'interno, o sbaglio?

La mia posizione è chiara e nota a livello nazionale e lo è ancora di più qui a Roma. Come noto è il mio giudizio negativo su Virginia Raggi, esponente di punta di una classe dirigente che ha fallito in lungo e in largo in questi cinque anni nella nostra città.

Conte e Letta però, dalle indiscrezioni stampa, potrebbero lavorare per un candidato unico

Letta è stato chiaro con la sua idea di costruire una coalizione larga che guardi oltre i confini del partito. E su questo sono d'accordo. Sul Movimento cinque stelle meno

Se Raggi facesse un passo indietro si può parlare con il M5s?

A Roma, se Raggi si sfila, non vedo con chi si debba parlare. Non vedo nei municipi nessuna esperienza positiva. 

Boccia quindi l'idea di Roberta Lombardi di primarie comuni?

Assolutamente sì

Faccio l'avvocato del M5s. Lei è stato, dopo l'esplosione di Mafia Capitale, bersaglio di insulti in quanto commissario del Pd. Nasce da qui il suo astio?

Certamente non posso condividere la violenza nel linguaggio usata contro di noi e che fa parte di quel movimento, ma la categoria dell'astio non mi appartiene. Il mio, nei confronti del Movimento cinque stelle, è un giudizio prettamente politico. Pur sforzandomi non riesco a trovare a Roma un solo esempio di buona amministrazione. Quindi non capisco, anche se Raggi dovesse fare un passo indietro, con chi e soprattutto su quali presunte idee comuni dovremmo fare un accordo.

Chi sembra pensarla diversamente è Federica Angeli con cui mi pare ci fosse un buon rapporto e che ora lavora con Virginia Raggi

Federica, che è un'amica e con cui abbiamo portato avanti numerose battaglie ad Ostia contro gli Spada, ha evidentemente creduto di poter dare il proprio contributo in un ambito ben preciso. E' una sua scelta. Il mio giudizio politico complessivo sull'amministrazione non cambia. 

Non vuole la Raggi, si sottrae al totonomi puntando sul percoso, ma qualcuno alla fine bisognerà scegliere. Di Gualtieri cosa pensa?

Roberto è una persona assolutamente capace e rispettabile, una risorsa per il partito e la coalizione. Come lo sono Zingaretti e Sassoli. Però, ribadisco, mi interessano prima i percorsi e le idee. Il nome viene dopo. 

Da osservatore oggi in parte esterno qual è il problema del Pd romano?

Non credo che il Pd romano abbia problemi. Alle ultime elezioni ha conquistato importanti vittorie, diventando il primo partito in città. Anche alle politiche, pur venendo da una situazione complicata, è riuscito a portare a casa collegi uninominali ed ha ottenuto dati migliori della media nazionale. Il partito a  Roma è forte. Deve scrollarsi quest'idea di sconfittismo, questo piangersi sempre addosso alla ricerca di nuove formule per provare a vincere. E' un partito che ha  archiviato Mafia Capitale, si è riorganizzato e rialzato. Storicamente poi ha al proprio interno quella che non fatico a definire una delle migliori classi politiche d'Europa: penso a Sassoli, a Gentiloni, allo stesso Zingaretti. Abbiamo dimostrato di saper ben governare la città: penso agli anni di Rutelli, di Veltroni e alla regione guidata da Nicola. L'abbiamo fatto con una coalizione forte e non c'era con noi il Movimento Cinque Stelle. 

A livello personale ha mai cullato l'idea di poter diventare sindaco di questa città?

Chi, come me, ama questa città e fa politica, dentro di sé culla sempre questa speranza. Io, nel momento in cui ho assunto la carica di commissario in quella fase storica così particolare, sapevo che avrei rinunciato a questa possibilità. 

Immaginava di farsi nemici e se ne è fatti

Ho chiuso circoli, ho preso decisioni impopolari ma da prendere. Ho contribuito a mettere fine all'esperienza di un sindaco che ritenevo non all'altezza. Di fronte a questo credo sarebbe strano se non mi fossi fatto dei nemici. 

Pensa di aver commesso errori o sente di dover chiedere scusa a qualcuno?

Impossibile non farne in una situazione così complicata. Tuttavia osservo che ho preso un partito dilaniato e in macerie e l'ho lasciato elettoralmente forte, capace di far bene in tutte le successive elezioni. In cuor mio non sento di aver commesso degli errori sulle scelte di fondo.

Perché secondo lei il partito, nonostante il commissariamento e nonostante questa forza elettorale si percepisce sconfitto ed è sempre avvitato in discussioni interne?

Qui non servirebbe una mia risposta, ma una seduta da uno psicanalista. Battute a parte, penso che in un grande partito come il nostro, in una grande città come la nostra, forse sia più facile guardare e parlare della nostra forma che mettersi a dialogare con l'esterno, con i cittadini. E questa chiusura ci porta a perderci in formule che ci disegnano peggiori di quel che siamo. 

Parlava prima di coalizione e lo faceva con un certo ottimismo. Non pensa però che tenere insieme visioni così distanti porti a prendere decisioni al ribasso? Ad esempio, sul futuro di Atac dalla sinistra fino ai Radicali ci sono posizioni inconciliabili.

Questo rischio c'è, è innegabile. Però l'occasione che ci offre questa fase post pandemica è importante: dobbiamo approcciarci ai problemi della città in modo nuovo. Il tema non è risanare ma costruire una città nuova. Sui trasporti che citava lei ad esempio penso ci siano da ricostruire flussi in base anche alle mutate esigenze della città. Migliaia di persone resteranno in smart working anche dopo la fine della pandemia, bisognerà ristrutturare un trasporto pubblico più a misura di periferia e meno focalizzato sul centro. 

Tutto giusto, però un'azienda è pubblica o privata e c'è il destino di migliaia di lavoratori

Che vanno garantiti e per me l'azienda deve restare pubblica. Ma l'occasione che abbiamo adesso è quella di rifondare tutto. Non dobbiamo mettere toppe alla città, ma dobbiamo ripensarla. Le sembrerà strano, ma noi politici qui a Roma abbiamo toccato con mano con il lockdown il problema di un centro della città vuoto, quasi inutile, senza turisti, senza lavoratori. Con lo smart working che resterà anche dopo la pandemia continuerà ad essere così. Ci saranno uffici ed edifici vuoti: che facciamo, li lasciamo alla rendita o pensiamo magari a convertirli ad edilizia popolare riportando i romani in centro?

Condivisibile, ma in coalizione concorderanno tutti su questa soluzione?

Il punto è avere un approccio diverso ai problemi: non è più tempo di mettere toppe, ma c'è la necessità di pensare ad una città che ha già necessità diverse. Ci siamo concentrati negli ultimi 20 anni troppo ad immaginare l'urbs, ignorando la civitas. Questo ha prodotto un centro della città e interi quartieri gentrificati. Ha prodotto periferie costruite sulla carta, per ingrossare le rendite, e senza servizi. Periferie che in questi mesi si sono salvate e vivono solo grazie alla forza di associazioni, artefici un welfare di prossimità che ha salvato e sta salvando migliaia di famiglie. Esperienze così non si può non valorizzarle, non si può non partire da qui. Ancora, per fare un altro esempio: migliaia di persone rimarranno in smart working e rischiano di perdere la dimensione sociale del lavoro. E allora immaginiamo co-working di quartiere che offrano ai romani la possibilità di lavorare e nello stesso tempo di stare insieme. Credo sia arrivato il momento di partire dalle persone, dalla civitas, e da loro costruire un'idea di una Roma nuova.
 


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