Colabrodo 41 bis, la sconfitta dello Stato: così i boss salvano i beni

Colabrodo 41 bis, sconfitta dello Stato: così i boss salvano i beni

Dall'inchiesta emerge che Il regime del carcere è stato tutt'altro che impermeabile

PALERMO – Da anni si ribadisce che il 41 bis è lo strumento essenziale nella lotta alla mafia. Talmente essenziale da avere mantenuto il regime del carcere duro fino all’ultimo respiro dei padrini Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Dall’inchiesta della Dda di Palermo la credibilità del sistema penitenziario, e dunque lo Stato, tocca un livello bassissimo. Il regime del carcere è stato tutt’altro che impermeabile. Di sicuro i boss detenuti ne hanno sfruttato le falle per difendere la roba nascosta chissà dove. C’è il rischio, e gli inquirenti lo tengono in seria considerazione, che si importanti capimafia si sono attivati per “avere una finestra sul mondo” ci sia sotto qualcosa di più grave della difesa mafiosa dei beni dalla confisca.

“Ciò che certamente è accaduto (e cioè che almeno tre capi mafia di tre aree geografiche diverse hanno avuto possibilità di interloquire e di scambiarsi reciproche informazioni) – scrivono i pm Guido, Ferrara, De Leo e Camillweri – ben potrebbe ripetersi questa volta con riferimento a progetti e strategie di altra natura, magari addirittura tali da mettere in pericolo, come purtroppo la storia insegna, anche la sicurezza dello Stato”.

La “finestra sul mondo” sarebbe stata individuata nell’avvocato Angela Porcello, legale di tre capimafia: Giuseppe Falsone di Agrigento, Alessandro Emmanuello di Gela e Pietro Virga di Trapani. Tutti e tre detenuti a Novara.

Giuseppe Falsone

Quando il capomafia di Agrigento Giuseppe Falsone seppe che l’avvocata Porcello aveva iniziato una relazione con Giancarlo Buggea se ne rallegrò.

Durante un colloquio in carcere a Novara il boss agrigentino, arresttao dieci anni fa a Marsiglia, si complimentò con la donna per la scelta: “Un amico sentito”, “un mio compagno”, “un grande regalo”.

Per Falsone il legale sarebbe divenuto un canale di comunicazione con l’esterno. Sia durante i colloqui che attraverso le lettere inviate all’avvocata e non sottoposte a censura dalle case circondariale, contravvenendo al regolamento.

Durante i colloqui i carabinieri del Ros hanno notato che l’avvocata scriveva su un foglio e Falsone quando parlava si spostava all’indietro fino a nascondersi dietro una colonna per evitare di essere ripreso dalla telecamera.

Parlava sottovoce a gesti. Sono state le successive intercettazioni fra Porcello e il compagno, Giancarlo Buggea, che l’attendeva all’esterno del carcere in macchina, a chiarire il contenuto dei colloqui carcerari. Hanno parlato del periodo di latitanza trascorso in Francia da Falsone, di alcuni parenti del boss e della gestione di terreni sfuggiti alla confisca, di tesori nascosti in Svizzera. Il boss ha ancora degli interessi attivi in Italia e all’estero. Il legale si è pure attivata per individuare l’uomo che, di questo Falsone era convinto, lo avesse tradito facendolo arrestare.

Alessandro Emmanuello

Importante è il colloquio telefonico che Porcello ha avuto con Falsone il 2 dicembre 2019 dalla saletta attrezzata del carcere di Agrigento. “Le volevo chiedere una gentilezza, una cortesia – diceva Falsone – qua c’è un ragazzo, no? Un ragazzo che ha qualche anno in più di me, che è un paesano nostro diciamo, che è di Gela, che si chiama… io lo chiamo ragazzo, perché è un ragazzo… si chiama Alessandro Emmanuello, se lo scriva…”.

Si tratta del killer gelese che sconta al 41 bis l’ergastolo per diversi omicidi. Emmanuello aveva già un avvocato: “… pratiche e cose non ne ha bisogno”. Semmai aveva bisogni di altro, di “una finestra.. a quello che succede per l’esterno e lui non ha le possibilità, non ha… e mi era venuta… mi era venuta in mente… “.

Porcello ha capito: “E lei gli dà il mio numero, il mio indirizzo, e mi fa scrivere…”. Nessuno problema anche perché Porcello ha lavorato dieci anni in uno studio legale di Caltanissetta e conosce bene la realtà. Infine Falsone le diceva che in qualche modo sarebbe riuscito a farlo sapere ad Emmanuello nonostante fosse loro vietato incontrasi: “Va bene, ora io… ora vediamo, ora vediamo come mi organizzo…”.

E ci sono riusciti pur non essendosi mai scritti, né avere condiviso i momenti di socialità e pur essendo detenuti in piani diversi del penitenziario di massimo sicurezza. La conferma arriva dalla telefonata che diciotto giorni dopo Emmanuello ha fatto all’avvocata e dalla nomina a difensore di fiducia.

Il 25 maggio c’è stato un colloquio telefonico fra la donna e il suo nuovo cliente: “Aspettavo se lei chiamava, poi invece cosa è successo? L’altro giorno ho visto… ho incontrato uno che mi ha detto, dice: ‘ma… non ne hai
ricevuto tu telefonate?… quando ho visto l’altro e mi ha detto,
dice: ‘guarda che ti’… dico: ‘Io… a me non mi ha…’. Allora sono
andato a chiedere io, mi è venuto il dubbio ed ho detto… ho telefonato
all’ufficio telefoni e mi hanno detto ‘ma noi…’ dice ‘… non ce
l’abbiamo, l’abbiamo persa’. L’avete persa?”. Avevano perso la teelfonata dell’avvocato.

Pietro Virga

Non è finita visto che Falsone ha suggerito di nominare Porcello anche a Pietro Virga, figlio del capo mandamento della provincia di Trapani Vincenzo, e detenuto per mafia. Lo scorso 30 dicembre Falsone diceva alla donna: “Lo sa cosa le volevo dire? Prima che me lo dimentico, no? Qua c’è un picciotto, no? Voleva qualche consiglio giuridico… le faccio fare una nomina per una cosa così che ha… e gli parla quando abbiamo la possibilità di parlare al telefono… io mi sono preso la libertà gli ho detto: io ho una
avvocatessa… gli ho detto… che è in gamba e tutte cose… gli ho detto…”. Risposta: “Lei si prenda tutte le libertà che vuole”.

Anche stavolta falsone ha aggirato i divieti in carcere e Virga ha nominato Porcello il 14 gennaio 2021. Con una differenza: i due sono detenuti in due celle vicine. Potrebbero avere comunicato parlando ad alta voce, approfittando della distrazione delle guardie penitenziarie.

Infine agli atti dell’inchiesta c’è la telefonata con cui il 20 giugno 2019 Porcello ha contattato Davide Puleri, fratello del detenuto per mafia Giuseppe: “… perché dobbiamo… sistemare alcune cose, perché tuo fratello mi ha dato alcune indicazioni di alcune cose che, purtroppo gli sono rimaste, diciamo, in sospeso… quindi mi devo vedere con te e con tua cognata… per una serie di cose che lui vuole sistemate, che
avanti che ne abbiamo parlato, per non farci capire c’è voluto i santi ed il
Padre Nostro, quindi ora apritevi le orecchie tutti e due, perché vuole un
putiferio di cose…”. In particolare, come nascondere alcune risorse finanziarie, come fare sparire una misteriosa scatola di cartone nascosta dietro il lavandino in balcone, come recuperare un somma di 50 mila euro. Perché i mafiosi hanno un chiodo fisso, salvare la roba.


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