21 settembre 2018 - 07:25

Prostituzione a Milano, il racket delle nuove «case chiuse» tra degrado e Aids: «Così mi vendo per mia figlia»

Insieme alla polizia nella periferia nord: trans sudamericani e giovani dell’Est. Cantine trasformate in «tane» illegali, droga e furti ai clienti. Via San Glicerio la più contesa dai protettori

di Andrea Galli

Prostitute e viados fermati tra piazzale Istria, viale Zara e viale Sarca (foto Porta/LaPresse) Prostitute e viados fermati tra piazzale Istria, viale Zara e viale Sarca (foto Porta/LaPresse)
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Se c’è stato mai del sentimento, negli amplessi con anziane trans dalle guance, dalle narici e dagli occhi asimmetrici a causa delle operazioni di chirurgia sbagliate oppure low cost, fra cani trovatelli, misuratori di pressione, scovolini per pulire gli impianti dentari, rasoi elettrici, zoccoli con la zeppa e libricini di preghiere, ecco, questa è la tomba dell’amore. In fondo al cortile di via Felice Romani 3, una scala conduce dove c’erano le cantine e adesso, anticipata dal cartello «Cierre la puerta por favor gracias», c’è una casa priva di finestre, umida e irrespirabile, claustrofobica, sotterrata, per appunto intombata. L’italiano proprietario degli spazi, che li ha affittati a 400 euro mensili ad alcune peruviane, andrebbe messo in galera. Per intanto, gli agenti sigillano l’alloggio e i presenti vengono accompagnati nel commissariato Greco-Turro, regista dell’ampia operazione di mercoledì sera contro la prostituzione nel triangolo dei viali Sarca, Fulvio Testi e Ca’ Granda alla quale il Corriere ha partecipato. Benvenuti nelle «case chiuse» di Milano.

L’autista e il fidanzato

Nella tomba di via Felice Romani, una strada non lontana dal cimitero di Greco, ci sono tre persone. Da quanto vivete qui? «Oh bello, sono solo di passaggio». A rispondere è un italiano 60enne, capelli sparati in aria e sorriso da paresi. Si scoprirà che è l’autista di Monica, 51 anni, la trans che si prostituiva e che è fidanzata con un romeno. L’autista prendeva 15 euro a viaggio. Monica resta accomodata su una poltrona, è gentile coi poliziotti, parla lentamente e a modo. È irregolare, la espelleranno: lo sa? «Pazienza». Sorride, nemmeno sbuffa. Da quanto sta in questo postaccio? «Sette anni». Mai provato a cambiare? «Non ho i soldi. Campo dei pranzi che preparo per i conoscenti, li consegno a casa. Servo soprattutto i vecchietti rimasti vedovi. Sto con loro». Quanto al romeno, e anche questo si scoprirà poi, è fidanzato sia con Monica sia con una bella ragazza (lei ignora la cosa). Il che, dice uno dei segugi del commissariato, uno dei pochi sbirri di strada sopravvissuti ai tempi, «è un fenomeno diffuso. I trans, tutti malati di Aids, contagiano i compagni che infettano le giovani». Il romeno, che fa il muratore, pare contento. Un agente gli domanda da dove venga. Lui urla: «Romania, Sighisoara, terra di Vlad III soprannominato “l’impalatore”».

I furti (senza denuncia)

Monica è una delle trans della batteria. Almeno altre cinque, ma forse il doppio, sono fuori al lavoro. Dividevano l’alloggio. Nello stesso cortile di via Felice Romani, al piano terra, c’è un trilocale di nuovo abitato da trans peruviane. Il capo si chiama Raul; pancia da bevitore di birra, è il più infuriato per l’arrivo degli agenti. Gli va in frantumi un impero di sfruttamento e di soldi facili. Le sudamericane non si vendono mai senza un protettore. In questa zona vivono molte delle trans che stazionano da un’altra parte della città, in via Padova angolo via Arquà. Abbiamo evitato di porre a Monica interrogativi sulla tipologia dei clienti, le professioni, eccetera eccetera: i clienti, si sa, son parecchi e variegati. E se ne vergognano. Altrimenti non si spiegherebbe l’enorme sproporzione tra oggetti trovati nelle perquisizioni — Rolex e Omega, iPhone, fedi nuziali, braccialetti d’oro — e l’assenza di denunce da parte dei legittimi proprietari. Assaltare un cliente, derubarlo e picchiarlo è frequente, ma nessuna vittima verbalizza. Per aver conferma che sono, come detto, tanti e variegati, basta assistere alla seconda fase dell’operazione diretta da Angelo De Simone, il dirigente di Greco-Turro. Per quel niente che interessa, è opinione giornalistica che blitz come questi non servano. Ma avendo seguito De Simone, si è notata una strategia, peraltro secondo sua consolidata abitudine. La risposta ai residenti che hanno segnalato il degrado, gli interventi pianificati e non ideati a casaccio, il censimento del territorio: il bilancio parlerà di 66 controllati dei quali 44 stranieri (39 pregiudicati), un italiano arrestato per droga, tre appartamenti sequestrati. E ancora, c’è una quarta voce: la base per successive indagini.

La ventenne e la guardia

L’incrocio tra il controviale di viale Fulvio Testi (affollato di trans e automobilisti che rallentano e contrattano) e via San Glicerio è il più conteso dai protettori delle sudamericane che non si affidano agli annunci ma stazionano prima in strada. La «piazza» costa ogni sera 50 euro. È occupata da una brasiliana. Questa periferia Nord ha anche una bassa percentuale di donne dell’Est Europa. In Fulvio Testi, una vede i lampeggianti e scappa: «Avevo il terrore che ci fossero le telecamere e finissi al telegiornale. Sono romena, ho 53 anni, faccio la badante part-time per mille euro scarsi che non bastano. A Bucarest c’è la mia bimba, mia figlia, l’unica ragione di vita; frequenta l’università e mi servono soldi da mandarle». A volte le romene riescono a evitare di sottostare a un protettore. Non è così per una connazionale ventenne, ferma in viale Sarca. Non vuole parlare, ma dinanzi all’insistenza dei poliziotti dice e non dice: «Qualche giorno fa sono arrivati degli albanesi, hanno ordinato che devo sparire, mi hanno minacciata. No, dottore, mai visti prima. Descriverli? Su dottore, dai, non li ricordo...». A cento metri, nella pensilina del bus, c’è un’albanese. Delicata e giovanissima, le ballerine e una gonna colorata in tinta con un giacchettino. Si dice che ci sia la coda, gente che mette le quattro frecce e attende un’ora, altra gente che parcheggia e s’aggira a piedi nei paraggi per prenotare. Viene identificata e raggiunge un baracchino di panini in via Chiese. Il proprietario non ha i permessi: è multato e invitato a sparire. Dal buio si muove una donna, avvicina l’albanese, le appoggia un braccio sulle spalle: «Vieni». È la sentinella del clan. Da lontano pare un’anonima passante, e invece gli occhi sono puro veleno e i movimenti furtivi quelli di un letale balordo.

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