3 novembre 2019 - 10:05

Porta Garibaldi, «poesia in stazione per ritrovare un po’ di lentezza»

Si tratta di grandi scritte rosse che resteranno sui muri del Passante ferroviario per un anno, frammenti di poesie di Antonia Pozzi (1912-1938) e Vittorio Sereni (1913-1983), entrambi milanesi; per nascita la prima, d’adozione il secondo

di Francesca Bonazzoli

Porta Garibaldi, «poesia in stazione per ritrovare un po' di lentezza» L’installazione dell’artista Fabrizio Dusi resterà per un anno sui muri del Passante ferroviario
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Una delle immagini più frequenti di Milano riguarda i suoi abitanti, sempre di corsa, sospinti da una fretta incomprensibile per chi ci osserva da fuori o attraverso lo sguardo acuto dell’artista. Come quello di Fabrizio Dusi che, in mezzo alla folla del Passante ferroviario della stazione Garibaldi, ha appena terminato un’installazione con lo scopo esplicito di rallentare il ritmo delle persone in transito.

Si tratta di grandi scritte rosse che resteranno sui muri per un anno, frammenti di poesie di Antonia Pozzi (1912-1938) e Vittorio Sereni (1913-1983), entrambi milanesi; per nascita la prima, d’adozione il secondo. «È nato tutto per caso», racconta Dusi. «Vedendo gli spazi spogli del Passante, mi è venuta in mente una lettera di Antonia Pozzi a Vittorio Sereni del 20 giugno 1935 in cui gli scriveva “abbiamo cullato in un treno domenicale le nostre malinconie simili e diverse”. Mi sembrava perfetta e ho proposto il progetto a Rfi, la Rete ferroviaria italiana».

L’iter è stato un po’ tortuoso, con un rimbalzo di mail da Milano a Roma, ma dopo tre mesi è arrivata l’autorizzazione. «Il Passante di Porta Garibaldi è un luogo attraversato con frenesia e distrazione da molti giovani. Eppure, mentre dipingevo le scritte, in tanti si avvicinavano per chiedermi spiegazioni, soprattutto le ragazze», rivela Dusi. «A incuriosire erano proprio le parole poetiche senza un marchio o una pubblicità che le giustificasse in quel contesto». Qualcosa di totalmente diverso da uno slogan per indurre a comprare. Di Vittorio Sereni, per esempio, l’artista ha scelto la frase: «Solo, di me, distante dura un lamento di treni, d’anime che se ne vanno». Mentre dagli scritti di Antonia Pozzi ha tratto le frasi: «Varchi con un sorriso indefinibile i confini» o ancora «Piove sul mio corpo autunnale come su un bosco tagliato».

Fabrizio Dusi lavora spesso con le parole (molti avranno visto la sua scritta al neon al Memoriale della Shoah «La memoria rende liberi»), ma non aveva mai utilizzato frasi letterarie, rimettendo in dialogo due autori amici, legati al viaggio e alla stazione con cui andavano e venivano da Milano. «Sono frasi che si rimbalzano da un binario all’altro, come i treni», spiega la curatrice del progetto Chiara Gatti. «L’idea è piaciuta subito e sia l’archivio Pozzi che quello Sereni, che ha sede a Luino in uno spettacolare palazzo Liberty citato da Hemingway in Addio alle armi, hanno accordato i permessi per l’utilizzo dei versi». Del resto Milano — lo dimostrano in questi giorni il decennale di Alda Merini e la ripresa degli appuntamenti mensili di Area P a Palazzo Marino — sembra proprio avere una sensibilità tutta speciale per la poesia.

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