LE ATTIVITÃ
Riaperture in Lombardia il 18 maggio, il dilemma: sì ai negozi, no a bar e parrucchieri?
di Giampiero Rossi
I negozi sì. Bar, ristoranti, parrucchieri ed estetisti no. Se dovesse decidere oggi, sulle attività da riaprire il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana sarebbe orientato così. E infatti non si pronuncerà oggi, ma ha rinviato almeno fino a giovedì qualunque decisione. Anche perché sullo sfondo ci sono altre variabili: da una parte l’effetto ping-pong col governo, lo stesso che si perpetua dall’inizio dell’emergenza, dall’altra — e soprattutto — la preoccupazione per uno scenario di Fase 2 che dal punto di vista strettamente epidemiologico è tutt’altro che chiaro.
«Entro giovedì penso di dare una risposta, che sia positiva o negativa», ha detto e ripetuto Fontana martedì a chiunque glielo domandasse, a proposito delle riaperture in regione dopo l’accordo tra governo e Regioni sulle scelte differenziate. «Dal 18 maggio i negozi riaprono per scelta del governo — ha sottolineato —, prima di allora noi dovremo ricevere le linee guida che devono essere inviate dal governo attraverso l’Inail. Le incroceremo con i dati epidemiologici e avremo la possibilità a livello territoriale di fare valutazioni. Il nostro interesse sarà prima di tutto quello di valutare le condizioni e i numeri dell’epidemia».
Per approfondire
In sostanza, dice il governatore della regione più colpita dal virus, non è possibile stabilire quali attività commerciali possono ripartire in assenza del presupposto fondamentale: i dati relativi al contagio dopo l’avvio della Fase 2 del 4 maggio. E da Palazzo Lombardia fanno notare che per avere indicatori attendibili su queste giornate di parziale ritorno alla vita — con i parchi milanesi presi d’assalto, gli aperitivi di gruppo improvvisati lungo i Navigli e i tanti, invisibili ricongiungimenti dopo quattro settimane di vite sospese — sarebbe opportuno attendere almeno primi giorni della settimana prossima. «Spero che le linee guida per la sicurezza a cui si lavora a Roma, da diversi mesi con ben 450 esperti, arrivino presto. Solo così potremo organizzarci anche e soprattutto sulla base dei dati epidemiologici della Lombardia», scrive infatti Fontana sulla sua pagina Facebook.
Insomma, grande cautela e qualche retropensiero politico: nei confronti del governo, innanzitutto, che secondo quanto si dice ai piani alti di Palazzo Lombardia avrebbe «scaricato le responsabilità su di noi senza prima fornirci le indicazioni imprescindibili sulla situazione epidemiologica». Ma c’è anche ampio spazio per critiche nei confronti degli altri governi regionali che «scalpitano per riaprire — si mormorava ieri in Regione Lombardia — perché campano di turismo o perché hanno scadenze elettorali in vista».
Eppure, non molti giorni fa, lo stesso Attilio Fontana aveva parlato della «via lombarda alla libertà » e aveva presentato al premier Giuseppe Conte un piano di ritorno alle attività secondo uno schema che avrebbe potuto garantire una ragionevole sicurezza. Era basato su «quattro D»: diagnosi, digitalizzazione, distanza, dispositivi di protezione, con l’aggiunta della quinta voce, quella dei diritti alla mobilità , al lavoro e alle relazioni sociali. Poi l’atteggiamento è cambiato. Complici i movimenti di massa nei parchi e nei luoghi di ritrovo a partire dal 4 maggio, ma anche — secondo l’amministrazione lombarda — i silenzi di Palazzo Chigi. In una lettera inviata la premier, per esempio, aveva proposto di differire l’ingresso al lavoro tra le 8 e le 12, di consentire la riapertura dei negozi solo dalle 11 e di disincentivare gli spostamenti non motivati nelle ore di punta. Il governo non avrebbe risposto. E questo lascia aperti molti dubbi, a partire dal problema della concertazione con i sindacati e con le associazioni di categoria, interlocutori imprescindibili per definire una diversa organizzazione degli orari del lavoro. Un passaggio che, secondo il governo lombardo, dovrebbe avvenire a livello nazionale.
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