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Silvia Romano diventa testimonial di un progetto contro l'islamofobia

Dopo il sequestro e la conversione la giovane ha scelto di impegnarsi contro l'odio religioso
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Testimonial e operatrice di un nuovo progetto europeo per contrastare l'islamofobia. Silvia Romano, la giovane cooperante rapita in Kenya e tenuta prigioniera in Somalia per un anno e mezzo, dopo il rientro a Milano l'11 maggio, si rimette al lavoro nel campo che lei ha scelto e per cui ha studiato, la mediazione interculturale. "Yes", è il nome del programma europeo nel quale lavorerà nei prossimi mesi. Di discriminazione religiosa, Silvia Romano, 24 anni, purtroppo se ne intende, essendo lei stessa vittima di un linciaggio sui social che non le ha concesso una tregua, nemmeno quando in agosto era in vacanza con la sua famiglia in Liguria.
 

Lei non ne vuole parlare, anche se si fa ritrarre sorridente in una foto promozionale che viene rilanciata sulle pagine Facebook dell'iniziativa contro l'odio religioso e in quelle delle associazioni giovanili musulmane. "Credo che il mio nome possa arrecare più danni che benefici al progetto, alla comunità e alla mia famiglia", si schermisce, con quella serietà che le deriva da mesi vissuti suo malgrado sotto i riflettori, inseguita dalle telecamere, bersaglio di insulti e di minacce a causa della sua conversione all'Islam. Criticata persino dalle femministe per il velo che indossa quando esce di casa, dal giorno del suo rilascio e rientro in Italia. Nasce proprio con l'obiettivo di contrastare questo clima minaccioso e di aggressività, il progetto "Yes" di sostegno ai giovani della comunità islamica. Silvia è stata inserita in squadra come "master equity defender". Con lei altri sette giovani lombardi, quasi tutti immigrati di seconda generazione e un project manager, Domenico Altomonte, 38 anni, esperienze passate con Fondazione Progetto Arca e Albero della vita, associazione di riferimento anche per la campagna "Yes". "Silvia si è candidata e abbiamo ritenuto che il suo profilo e anche le sue capacità fossero perfette per entrare nel nostro gruppo di lavoro - spiega Altomonte - . L'impegno è quello di partire dai giovani per contrastare l'islamofobia, raccogliendo segnalazioni di casi, denunce, ma fornendo anche supporto psicologico ed eventualmente legale, con la consapevolezza che la discriminazione può avere una sua tutela legale anche se esiste poco nell'ordinamento".
 

Dentro al progetto in partnership con Albero della vita e Le Reseau, associazione romana che si occupa di diaspora africana, c'è anche Progetto Aisha di Milano, guidata da quel vulcano che è Amina Al Zeer, mediatrice culturale, esperta in diritti delle donne e lotta alle discriminazioni sessuali. "Questo fine settimana abbiamo finalmente potuto incontrare di persona i Master Equity Defender, gli 8 giovani rappresentanti della comunità islamica milanese selezionati che saranno impegnati in attività di supporto alle vittime di islamofobia oltre che nel primo Forum giovanile internazionale che organizzeremo presto - spiega Al Zeer - . Ci auguriamo di poter contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica su un tema che raramente viene trattato dai media e che invece ha un impatto quotidiano sulla vita delle donne musulmane". Silvia Romano era la candidata ideale per le attività di aiuto alle vittime, con canali di telefono e online per raccogliere le segnalazioni e poi orientare chi deve tutelarsi.