IL LIBRO
Un dizionario moderno per camerieri eccellenti
di Luca Iaccarino
Sono mesi terribili per la ristorazione, ma i grandi non si fermano mai. Vincenzo Donatiello, ad esempio: 35 anni, dal 2013 a Piazza Duomo – tre stelle Michelin ad Alba –, di cui dal 2015 è direttore. Questi giorni sono stati occupati dal lavoro ordinario, dal continuo confronto tattico con lo chef Enrico Crippa e la famiglia Ceretto proprietaria del locale – aprire sette su sette a pranzo? Tornare a fare il delivery con il bistrot “La Piola”? –, ma Donatiello ha usato questi mesi sospesi anche per alimentare progetti collaterali. Ha appena battezzato un suo gin, “Don Gino”, registrato il podcast “In vino veritas” e pubblicato con il sistema di Direct Publishing di Kindle il libro “Io servo - Dizionario moderno per camerieri”, un “manuale emotivo” per giovani appassionati (e non solo) corredato da fotografie di Marco Varoli e illustrazioni “munariane” di Adele Manuti.
Perché un “Dizionario per camerieri”?
«C’è un’enorme crisi di vocazioni che certo non trova conforto nei manuali tecnici che spiegano come sfilettare una spigola. Io voglio generare una svolta motivazionale, dimostrare che è un bel lavoro».
È un bel lavoro?
«Certo. Economicamente dà possibilità di progressione, crea una rete relazioni unica e offre grandi orizzonti: un cameriere non è un portapiatti, è uno psicologo, uno che conosce le lingue, che sa parlare in pubblico, che può andare ai congressi e in televisione».
Ci sono posizioni aperte?
«In abbondanza. E tante sono attualmente occupate da persone poco competenti. Come si dice: nel paese dei ciechi, chi ha un occhio solo fa il sindaco. C’è spazio per giovani bravi e motivati».
Ha scelto di raccontare il suo mestiere non con un manuale ma con un “dizionario”, che va da “Accoglienza” a “Zero” (“Il numero di mattine in cui mi sono svegliato senza aver voglia di andare a lavorare.”). Perché?
«Amo le parole fin da quando facevo il rapper».
Faceva il rapper?
«Sì, fino al 2008, il mio nome era MC Vudu. Vivevo in Romagna e facevo parte del tessuto di K-Rimini. Rappavo con mio fratello gemello Mauro, aka Klone. Fin da allora ho capito il potere delle parole».
I “lemmi” più importanti del libro?
«“Cameriere”, “Capacità” e “Team”. “Cameriere” perché è quello che sono ancora oggi: è un mestiere pieno di dignità, di intelligenza. “Capacità” perché a un certo punto il nostro lavoro diventa quello di un manager, e bisogna essere all’altezza: io faccio il “filtro” tra tutti, proprietà, chef, clienti… E “Team” perché, non è retorica, senza non si va da nessuna parte. E i collaboratori devono essere gratificati».
“Gratificati” significa anche pagati come si deve.
«Il costo del lavoro è il tema centrale. Qui in Langa ci sono un sacco di locali che ti pagano un servizio in nero 70 euro, c’è gente che mette assieme anche 3.000 euro al mese. Questo dimostra che i soldi per remunerare dignitosamente i lavoratori ci sono se si abbassa il cuneo fiscale».
Conta più la sala o la cucina?
«Un grande cameriere fa perdonare una cucina mediocre, non viceversa».
Colleghi che stima?
«Mariella Organi della Madonnina del Pescatore a Senigallia, Massimo Raugi a Villa Crespi sul Lago d’Orta, Thomas Piras da Contraste a Milano, tanti giovani come Alfredo Buonanno del Kresios a Telese Terme».
La vostra è una carriera da piccoli passi o grandi occasioni? «Tutte e due. Ma mai vivere aspettando le grandi occasioni: quelle capitano e basta».
Dove vede il suo futuro?
«In Borgogna, senza dubbio».