Ulisse e il viaggio dentro e fuori noi stessi che dobbiamo fare

La terza puntata de «I nostri miti», una serie di lezioni sui miti della cultura occidentale per riflettere sul passato e sul presente. Come Ulisse, tutti noi siamo le nostre relazioni e come lui prima o poi, soli, insicuri e naufraghi, abbiamo avuto bisogno di ritrovarle per ritrovarci.

Cristina Dell'Acqua / CorriereTv

Quando si viaggia verso Itaca si può stare sicuri di fare un bel viaggio (come dice il poeta greco Kavafis), tra i versi dell’Odissea, insieme a Ulisse, e dentro di noi. Nei 20 anni in cui è stato lontano da casa Ulisse è un uomo vittorioso ma solo. Non è più un eroe, è un naufrago. Naviga per mare con pochi amici rimasti, ma ha perso i punti di riferimento della sua vita. Il senso e la direzione non sa più quali siano. Saranno le donne e gli uomini che incontra ad aiutarlo a ritrovare una forza che non è scritta in nessuna guerra e a tornare l’uomo che è la prima parola greca dell’Odissea.

La prima volta che vediamo Ulisse nell’Odissea (perché ci pare proprio di vederlo nel V libro) è di spalle, in riva al mare, sull’isola di Ogigia dove la bellissima Calypso lo ha accolto esule. Hanno vissuto insieme 7 anni e pur di averlo per sempre con sé gli ha promesso di renderlo immune dalla vecchiaia e dalla morte. Ma non è questo che Ulisse vuole. Non vuole l’immortalità, al limite l’eternità che è ben altra cosa. Ulisse rifiuta.
Ulisse, come chi vuole conoscere se stesso o ritrovarlo, deve affrontare il difficilissimo viaggio attraverso le sfide più insidiose che esistano, dentro e fuori di sé: paura, nostalgia, gratitudine, dolore e sconforto; è il momento di re-agire, di errare, che non a caso significa vagare ma anche sbagliare.

L’Odissea non è solo il faticoso ritorno di Ulisse verso la sua isola natale ma è anche un continuo e incessante formarsi e disfarsi di incontri, legami, avventure e amori di cui in qualche modo tutti abbiamo bisogno per raccontare agli altri (oltre che a noi stessi) perché siamo quello che siamo.

Partito dall’isola di Ogigia dopo 17 giorni di mare tranquillo, ormai vede all’orizzonte Itaca, è travolto da una tempesta che lo fa naufragare sulla terra dei Feaci. Lì il re Alcinoo, la moglie Arete e la figlia Nausicaa lo accolgono. Nudo, naufrago e straniero lo ospitano a corte dove viene organizzato per lui un banchetto di festeggiamento (non sanno ancora di chi si tratti, ma l’ospite è sacro). Nel cuore della serata l’aedo Demodoco canta la guerra di Troia e dei suoi protagonisti, senza sapere l’aedo di trovarsi davanti proprio Ulisse e Ulisse di essere sul punto di rinascere. Al solo sentire il racconto, Ulisse scoppia in un pianto catartico, un pianto che viene dal sottosuolo dei ricordi.

Le parole di questo sconosciuto lo mettono davanti a se stesso, non è più Nessuno, ora è Qualcuno, è Ulisse che rialza la testa. Con le lacrime (sgorgano davanti a emozioni così fulminee e dolorose) si riassettano la memoria e il ricordo di cui è fatto: è figlio di Laerte, padre di Telemaco, marito di Penelope. Il suo luogo, il nostro, è Itaca. Esiste l’Ulisse di Omero, come esiste quello di Dante, e come può esistere quello di ciascuno di noi. Come Ulisse, tutti noi siamo le nostre relazioni e come Ulisse prima o poi, soli, insicuri e naufraghi, abbiamo avuto bisogno di ritrovarle per ritrovarci. Buona Itaca a tutti.

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