Saman Abbas, lo zio Danish tradito da un neo e dai social: così è stato arrestato

di Alessandro Fulloni

Il pachistano accusato di aver ucciso la nipote di 18 anni, che non ancora stata ritrovata, è stato catturato a Parigi dopo giorni di appostamenti: le ultime notizie

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Sotto osservazione da giorni: quando usciva di casa per spostamenti circospetti di pochi minuti, un caffé al bistrot all’angolo, un kebab al fast food e poco altro, tipo quattro passi lungo Rue de Bastion, un susseguirsi di casermoni popolari nella banlieue a Nord di Parigi. Qui, in un anonimo e piccolo appartamento diviso con quattro connazionali, ieri mattina, durante un blitz scattato alle 10, è stato arrestato Danish Hasnain, il pachistano di 33 anni che nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio avrebbe strangolato e ucciso — a Novellara, nelle campagne del Reggiano — sua nipote Saman Abbas, la diciottenne che su Instagram aveva come account «italiangirl» e che si era opposta a un matrimonio combinato dai genitori con un cugino in Pakistan di 11 anni più grande.

Per questo «no» la giovane è stata punita con la morte. Un delitto che ha visto complici il padre Shabbar, 44 anni, la madre Nazia Shaheen, 48, i cugini Nomanulhaq Nomanulhaq, 33, e I kram Ijaz, quest’ultimo fermato a metà maggio a Nîmes mentre stava scappando in Spagna. Ad ucciderla materialmente, forse «strozzandola», sarebbe stato proprio Hasnain, un uomo «violento, di cui avevo paura», secondo la descrizione del fratello sedicenne di Saman che, ascoltato più volte dai carabinieri — al centro protetto dove è stato trasferito per metterlo al riparo dalle ritorsioni da parte degli Abbas — ha raccontato tutto dell’omicidio. Pianificato per tempo dai genitori, scappati in Pakistan poche ore dopo la morte della figlia, dai due cugini e dallo stesso Hasnain. Che secondo i carabinieri di Reggio si sarebbe nascosto a Parigi subito dopo la fuga da Novellara, dove lavorava come bracciante, assieme a tutti gli uomini del clan Abbas, nella vasta azienda agricola nella quale per due mesi è stato vanamente cercato, anche con i cani molecolari, il cadavere di Saman.

Da giorni gli investigatori della «Brigade criminelle» del Dipartimento di polizia a Parigi erano sulle tracce di Hasnain, individuato dai carabinieri diretti da Andrea Milani. Decisivo sarebbe stato, per localizzarne il nascondiglio, il suo incauto comportamento sui social, dove avrebbe aperto dei profili fake per restare in contatto con familiari e conoscenti in Pakistan, forse gli stessi che avevano ordinato l’uccisione della ragazza. Gli esperti di software del nucleo investigativo telematico dell’Arma hanno individuato id e device usati dallo zio di Saman, risalendo all’indirizzo in rue de Bastion. Il resto lo hanno fatto i poliziotti della Brigade, una volta che il gip reggiano, su richiesta della procuratrice Isabella Chiesi, ha firmato il mandato di arresto europeo per omicidio. Davanti agli agenti, sulle prime Hasnain, sprovvisto di documenti e che si era fatto crescere i baffi, avrebbe fornito false generalità nel tentativo di dribblare le manette. Ma è stato riconosciuto da un neo sul viso e l’identificazione definitiva è giunta grazie alla comparazione delle impronte digitali.

Nell’appartamento c’erano anche altri quattro connazionali che dovranno chiarire se sapessero che Hasnain era ricercato per l’omicidio di Saman. Un delitto di cui erano a conoscenza — sono sempre le parole del fratello di Saman in incidente probatorio — diversi componenti del clan Abbas. Tra questi una zia che vive a Londra, quella che telefonando al ragazzino rimasto a Novellara gli aveva consigliato di «non dire nulla; qualunque cosa ti chiedano non devi dire nulla». Senza contare le parole pronunciate da voci maschili nel corso di telefonate provenienti dal Pakistan: dopo l’ennesimo allontanamento da casa di Saman — che «non si comportava da brava musulmana e non rispettava il Ramadan» — c’è qualcuno che intima: «A questo punto bisogna ucciderla».

Hasnain — giunto in Italia anni fa da Istanbul attraversando il Mediterraneo con un barcone — è considerato, ha detto ieri la procuratrice reggiana Isabella Chiesi durante la conferenza stampa, «la mente di questo progetto criminoso pazzesco». Quella notte del 30 aprile fu lui a bloccare Saman che stava allontanandosi tra le serre. «Ora ci penso io», gridò ai genitori, fermi fuori dall’uscio. E più tardi, conversando in chat con un’amica pakistana, scrisse: «Abbiamo fatto un lavoro perfetto».

23 settembre 2021 (modifica il 23 settembre 2021 | 08:15)