Mafia, arrestati Guttadauro e il figlio: volevano punire l’ex ministro Baccini (per conto di una nobildonna)

di Felice Cavallaro

Sono accusati di associazione di tipo mafioso. Il padre avrebbe organizzato un commercio di droga con l’estero. Le intercettazioni e la spedizione punitiva

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PALERMO – Del «dottore» della mafia collegato per indiretta parentela con Matteo Messina Denaro si parla dal 2001, da quando grazie a una soffiata eccellente trovò e distrusse le microspie collocate dall’antimafia nel salotto di casa sua, a Palermo. Ma scattano di nuovo gli arresti, dopo vent’anni di carcere a pene alternate, per Giuseppe Guttadauro, 73 anni, aiuto primario alla Chirurgia del Civico di Palermo negli anni Ottanta, un piede nella politica e l’altro nella mafia. Arresti domiciliari per il boss rimasto dieci anni al 41 bis. Da qualche tempo trasferitosi a Roma dove era appena rientrato da un viaggio in Marocco. Va peggio al figlio maggiore, Mario Carlo, finito in carcere per la stessa inchiesta dei carabinieri del Ros che, grazie ai trojan inseriti nei cellulari, hanno anche ricostruito le minacce di padre e figlio per la soluzione di un contenzioso da 16 milioni di euro.

Le intercettazioni

Un affare a sostegno di una nobildonna romana, Beatrice Sciarra, contro una filiale dell’Unicredit. Pronti ad eliminare ogni ostacolo anche se nella contesa finanziaria saltava fuori il nome dell’ex ministro Mario Baccini. Con Guttadauro senior determinato: «Se poi a Baccini gli si devono rompere le corna per davvero, gliele rompiamo». Questa vecchia conoscenza dell’antimafia è stata sempre seguita con la stessa costante attenzione dedicata al fratello, Filippo Guttadauro, a sua volta, cognato dell’imprendibile super latitante. Un monitoraggio che confermerebbe come il boss non avrebbe mollato i rapporti con la roccaforte operativa del quartiere Brancaccio a Palermo. Coltivando, secondo l’ultima inchiesta, nuovi traffici loschi a Roma. Con «il dottore» coinvolto perfino in una partita di droga, trasferendo 300 mila euro in Brasile per fare trasportare un carico dal Sud America in Olanda. Spicca in queste storie la figura del figlio, irruente, al centro anche di un (presunto) pestaggio «commissionato» nel 2016 contro un ragazzo che si sarebbe permesso di avanzare dubbi sulle sue «condotte contrarie alle regole morali di Cosa nostra».

La soffiata di Cuffaro

Il tempo sembra essersi fermato davanti ai protagonisti di queste pagine di mafia che cominciano le loro sciagurate carriere negli anni Settanta e ancora dominano la scena. Appunto, come Guttaduaro “il dottore” arrestato un’altra volta lo scorso maggio insieme con il fratello Filippo. Entrambi entrati ed usciti di scena da quell’intrigo che ruota attorno al re Mida della Sanità siciliana Michele Aiello e all’ex presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro, accusato di essere stato il perno della soffiata culminata nella distruzione delle microspie in casa Guttadauro.

I favori di Cosa nostra

Quelle ed altre intercettazioni permisero allora di cogliere i distinguo interni alle «famiglie». Con tutti i dubbi legati ad alcune stragi forse compiute dalla mafia in sintonia con altre “entità” o forse per inconfessabili interessi incrociati. Si sfogava Guttadauro con un medico suo amico, Salvatore Aragona: «Ma chi c... se ne fotteva di ammazzare Dalla Chiesa... Andiamo, parliamo chiaro... E perché glielo dovevamo fare questo favore...». Inquietante riflessione che dal 1982 rimbalza al 1992, subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, quando questa eminenza grigia sembra prendere le distanze dalla sanguinaria violenza di Riina e Provenzano: «Non l’ho capito questo spingere determinate esasperazioni. Perché farci mettere nel tritacarne...».

Le legnate di Baccini

Apparentemente sembrava volere sempre appianare e mediare. Proprio a Roma «il dottore» sperava di assecondare la richiesta di aiuto arrivata dalla signora Sciara, moglie di Giuseppe Mennini, chirurgo e già docente dell’Università «La Sapienza». Puntava a una ricompensa del 5 per cento sulla prima tranche da 8 milioni, Nei vorticosi colloqui finalizzati a sbloccare quei fondi Guttadauro ha finito per coinvolgere il commercialista Giovanni Armacolas e l’assistente di volo dell’Alitalia Adriano Burgio, che per la procura e la gip di Palermo Claudia Rosini «fungeva da mediatore con i dirigenti bancari». Pronto il boss a far pesare minacce pesanti. Pronto alla violenza e «a dare legnate» parlando dell’ex deputato e senatore Udc Mario Baccini, ministro della Funzione pubblica fra il 2004 e il 2006 nel governo Berlusconi, poi fondatore del «Comitato nazionale per il microcredito», istituto chiuso durante la permanenza di Mario Monti a Palazzo Chigi e poi riattivato. Ma Guttadauro, ignaro delle intercettazioni, sapeva di non potersi esporre troppo: «Non ci posso andare io a rompergli le corna. Giusto? A me mi conoscono, ci deve andare uno che nemmeno conoscono perché se mi fanno una fotografia, mi conosce mezzo mondo...».

Lezione di mafia

Di qui forse la scelta di scatenare il figlio, anche a costo di contraddire qualche vecchia «lezione di mafia» un tempo impartita auspicando le regole di una mafia camaleonte, pronta ad insabbiarsi. Lo stesso modello offerto in passato con una vera e propria «lezione» all’altro figlio, Francesco, tempo fa pure lui arrestato: «Ti devi evolvere, ma rimanere con quella testa». Gli stessi consigli suggeriti a un altro rampollo di famiglia, Fabio Scimò, deciso a fare «carriera»: «Non puoi scendere a livello dei picciutteddi. Devi metterti a un livello diverso». Parola del «dottore».

13 febbraio 2022 (modifica il 13 febbraio 2022 | 23:36)