9 settembre 2020 - 22:21

Morto Nico Naldini, scrittore e poeta. Cugino di Pasolini, ne raccontò la vita

Addio a un autore versatile, nato in Friuli e frequentatore del Nord Africa, a cui dedicò alcuni suoi versi. Scrisse le biografie di intellettuali come Parise, Comisso, De Pisis

di PAOLO DI STEFANO

Morto Nico Naldini, scrittore e poeta. Cugino di Pasolini, ne raccontò la vita Nico Naldini (a sinistra) con il cugino Pier Paolo Pasolini (1922-1975) nel 1945
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In primo luogo venivano gli amici, e poi veniva lui: Domenico (detto Nico) Naldini, nato il 1° marzo 1929 a Casarsa, in Friuli, e morto il 9 settembre a Treviso. Gli amici erano tanti, pittori, scrittori, poeti, editori, attori, registi, ignoti vagabondi: Filippo De Pisis, Giovanni Comisso, Sandro Penna, Goffredo Parise, Mario Soldati, Elsa Morante, Andrea Zanzotto… E su tutti il suo primo cugino Pier Paolo Pasolini, la cui madre Susanna Colussi era sorella di Enrichetta, mamma di Nico. «Non mi vergogno di averli idolatrati — diceva —, ma per provare ammirazione non mi occorre Fellini, ho ammirato molto la donna araba che faceva da mangiare sotto le fucilate degli sgherri di Ben Ali...». Con Pier Paolo, che durante la guerra gli dava lezioni di italiano nella «scuoletta» allestita in casa, aveva condiviso il terrore per i tedeschi e tre lunghi giorni rintanati nel campanile del paese. Li accomunava anche l’attaccamento feroce alle rispettive madri (Enrichetta aveva sposato un pilota di macchine da corsa precocemente colpito, a soli 21 anni, dal morbo di Parkinson). Poi, con le prime letture di Rilke e di Joyce consigliate dal cugino, arrivò la passione per la poesia: fu Pier Paolo a selezionare un gruppetto di versi giovanili in dialetto friulano, per raccoglierli nel 1948 in un libretto intitolato Seris par un frut (Sere per un fanciullo), stampato dall’Academiuta di lenga furlana, il centro dialettale «casalingo» fondato dal gruppo di giovani sodali nel 1945. La smilza plaquette sarebbe confluita poi in una raccolta più ampia, La curva di San Floreano (Einaudi 1988). Parise parlò di «scientifica disperazione amorosa» e definì Naldini «poeta superbo, non dotato delle vanità che, di solito, producono biografie poetiche troppo abbondanti». Su quei pochi componimenti, Naldini aveva allora un solo rimpianto: che Penna non avesse mantenuto la promessa di scriverne. Ne scrissero però anche Carlo Betocchi e Giorgio Caproni.

Nico Naldini
Nico Naldini

Parise non poteva saperlo, ma altri libri poetici si sarebbero aggiunti con gli anni: tra questi un poema in tre ante, Piccolo romanzo magrebino (Guanda 2016), dove Nico narra la sua lunga esperienza nordafricana, con i frequenti soggiorni nella casetta comprata nel Nord della Tunisia. Una narrazione lirica fluviale dominata dagli incontri omosessuali: «Negli anni della vita/ ho soltanto portato in giro/ l’odore dei ragazzi che abbracciavo». Dove, come osserva Francesco Zambon nella postfazione, il poeta «ritrova istintivamente gli accenti di Kavafis» e però anche dei cantori greci arcaici. Naldini diceva di incontrare, nei Paesi arabi, un’agilità e un’allegria che gli facevano dimenticare le nostre banalità. In una precedente raccolta poetica, Meglio gli antichi castighi (Guanda, 1997), la «fenomenologia dell’amore omosessuale» (Magrelli dixit) si presentava in forma diaristica associandosi a bellissime «improvvisazioni» sulla madre: «Più che attonita, era intontita/ a guardarsi intorno/ e vedere un’umanità così sbilenca/ tra i suoi discendenti»).

Andrea Zanzotto
Andrea Zanzotto

Naldini poté raccontare protagonisti e comparse dell’ambiente editoriale milanese degli anni Cinquanta e Sessanta perché, grazie all’amico Giovanni (Comisso), ottenne un impiego nel settore commerciale-pubblicitario della Longanesi, con il patron Mario Monti. Grazie al cugino, invece, conobbe bene le bizze di Livio Garzanti e i capricci di Giulio Einaudi. Quando nel ’62 raggiunse Pier Paolo a Roma, trovò un panorama diverso da quello dell’industria editoriale milanese: c’era Fellini, c’erano i weekend sulla Costa Amalfitana con i grandi attori internazionali, c’era Penna, c’era il Gaddone sornione e goloso di ciliegie, c’era Moravia, c’era Alberto Grimaldi, con il quale collaborò riuscendo a bocciare una Dama delle Camelie di Franco Zeffirelli («una boiata!»). Il treno del buon appetito, Guanda 2011, è un caldo romanzo dal vero con parecchi «racconti romani».

Giovanni Comisso
Giovanni Comisso

Rievocò spesso la morte cruenta del cugino corsaro, senza mai credere al complotto politico. Non condivideva con il cugino il narcisismo tragico, perché Nico era un uomo dedito soprattutto agli altri, gentilezza e altruismo erano qualità che forse imparò presto. Era infatti un campione del ritratto delicato e ironico, capace di disegnare intere biografie partendo da un aneddoto, da una parola, da un dettaglio, come sanno fare gli scrittori di razza. Le biografie dedicate a Pasolini (ma anche la cura dell’epistolario e la cronologia dei Meridiani), a Leopardi, Comisso, a Parise, sono capolavori di precisione e di racconto, dove Naldini sperimenta soluzioni strutturali sempre nuove, incrociando ricordi orali, testimonianze indirette, lettere, opere letterarie e tracce di vita anche minime. Per ricostruire l’identikit biografico di De Pisis fa parlare fattorini, modelli, boxeurs, gondolieri, una portinaia di Parigi e una fioraia di Rialto. Lavorando di acribia e di immaginazione: «Durante l’inverno del ’26 il marchesino indossa un paltoncino nero con il bavero di pelliccia di Mongolia che era appartenuto al padre. Fatto di stoffa resistentissima adatta a rivestire più generazioni…». Dettagli che, come diceva Naldini, sono spiragli attraverso cui si intravedono personalità forse altrimenti incomprensibili. L’impressione, rileggendo i suoi libri, è che Naldini abbia dato alla letteratura molto più di quel che ha ricevuto.

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