Torna la vecchia domanda: è vero che l’Italia è il Paese più tartassato d’Europa? Ecco la classifica Ue, anno 2018, sulla pressione fiscale totale in rapporto al Pil, elaborata dall’ ufficio studi Cgia su dati Eurostat, e relativa alle imposte dirette, indirette, imposte su redditi da capitale, contributi sociali: l’Italia si piazza al settimo posto con il 41, 8%, contro una media Ue, del 40,2%. In testa la Francia con il 48,4%, segue il Belgio con il 46,6%, Svezia, 44,3%, Austria, 42,5%; Grecia, 41,4%; Germania, 41,2%. Molto più pesanti invece i carichi sulle imprese. Dai dati di Banca Mondiale e Cgia in testa c’è la Francia con il 60,7%, segue l’Italia con il 59, 1%, poi la Germania 48,8% e l’Irlanda con il 23%. Poi ci sono imposte che variano a seconda delle regioni, delle dimensioni dell’impresa, tipo di attività e dei componenti della famiglia: Imu, Tari, Tasi, ecc.
Per quel che riguarda le accise, il peso fiscale su un litro di carburante in Italia è il più alto: 1,003 centesimi di euro per ogni litro, ed è previsto un aumento nel 2020. La media europea è di 89,3, scendendo nel dettaglio di paesi comparabili al nostro troviamo la Francia, che chiede 65, 9 centesimi e la Germania 65,5. Ci sono poi le micro-imposte. In Italia continuiamo a pagare la marca da bollo da 2 e 16 euro (esiste dal 1863), anche se ormai abolita in molti Paesi Ue. Il nostro passaporto è il più costoso: 116 euro, in Francia 86, in Grecia 84.40, in Austria 75,9, in Germania quasi te lo regalano: 37,5 euro. In compenso siamo il Paese che paga meno il canone Tv: 90 euro, contro i 335 della Danimarca, 215,7 della Germania e i 139 della Francia.
Con il Portogallo e la Bulgaria, l’Italia è il Paese europeo dove è più complicato pagare le imposte. L’analisi di Banca Mondiale dice che ad una piccola impresa italiana, ogni anno, occorrono in media 29,7 giorni lavorativi solo per raccogliere le carte necessarie. La media Ue è di 18 giorni. In Francia ne bastano 17, in Spagna 18, in Germania 27. Secondo il «Financial Complexity Index» condotto in 94 Paesi dal gruppo finanziario Tfm, i primi tre Paesi al mondo con il fisco più tortuoso sono nell’ordine: Turchia, Brasile, Italia. Anche qui dunque siamo i primi in Europa. Secondo l’indice internazionale della competitività fiscale compilato dall’Ocse, su 36 Paesi l’Italia è al 34esimo posto.
I motivi della lentezza italiana sono invece noti: eccessiva burocrazia, norme complicate che cambiano ogni anno, «ingorgo» delle controversie nelle commissioni tributarie. In 10 anni, i giudici sono calati del 40,2% e l’ anzianità media delle controversie pendenti è di 689 giorni, in leggero calo rispetto a 2 anni fa. Il cittadino paga le imposte e lo Stato in cambio offre i suoi servizi. Dai dati Ocse, l’Italia spende l’8,9% del Pil per la sanità pubblica, la media europea è al 9,6%. La classifica è guidata dalla Francia (11,5%) e dalla Germania (11,3%). Nella spesa sanitaria pro-capite l’Italia è all’undicesimo posto: 2.551 euro nel 2017 contro una media Ue di 2.773.
Da noi, come ovunque, le tasse servono a coprire le spese di tutta la macchina pubblica: dagli ospedali alla scuola, dalle infrastrutture alla manutenzione delle strade, forze di polizia, tribunali, protezione civile, traporti, assistenza sociale, ricerca, e le costosissime cure contro il cancro, garantite gratuitamente ad ogni malato. Chi evade, scarica anche questo peso su tutti i concittadini. E i Paesi che impongono meno tasse lasciano poi «scoperti» i loro contribuenti: in Italia, la sanità pubblica assicura 47 protocolli di diagnosi prenatale estesa e obbligatoria per altrettante patologie rare, la sanità irlandese solo 8. E gli irlandesi vengono poi a curarsi qui.
Siamo fra i paesi europei che evadono di più. La nota aggiuntiva al Documento 2019 sull’economia e la finanza certifica una differenza fra le entrate previste e quelle effettivamente pervenute di circa 109,7 miliardi di euro. L’imposta più evasa è l’Iva, dove secondo il «rapporto Murphy» presentato a luglio al Parlamento Europeo l’Italia è prima nella lista Ue: ben il 25,9% del dovuto, ovvero circa 35 miliardi ogni anno. Ai primissimi posti anche nell’economia sommersa. Il «nero» vale oggi 211 miliardi, ovvero il 13% del Pil. Incrociando varie statistiche, si arriva alla stima sull’evasione procapite: 3.182 euro in Italia, 3.070 nella florida Danimarca, Francia 1.760, Germania 1.522. Le percentuali di recupero dell’Agenzia delle Entrate: dai 20,1 miliardi nel 2017, siamo scesi a 19,2 nel 2018. Però lo Stato premia i comuni che contribuiscono alle attività di recupero: nel 2018 il più attivo è stato San Giovanni in Persiceto (Bologna) che ha ricevuto da Roma 1.519.052 euro.
Fra gli strumenti anti-evasione, il primo è quello di contrastare l’uso del contante, la miniera che consente di produrre il sommerso. Dal primo luglio 2020 il tetto scenderà a 2.000 euro, per arrivare a 1.000 nel 2021. Dagli ultimi dati della Banca d’Italia, la media Ue dei pagamenti tracciabili procapite è stata di 261. In Italia siamo a quota 111, contro i 456 dei Paesi Bassi, 327 della Francia, 257 della Germania.