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27 settembre 2021 - 08:18

Ita-Alitalia, l’ipotesi di far slittare il decollo e il rischio della lite con l’Ue

di Leonard Berberi

Spostare di qualche settimana il decollo di Italia Trasporto Aereo per placare i dipendenti di Alitalia e trovare un accordo con i sindacati sull’avvio della newco e sulla chiusura della vecchia compagnia. L’ipotesi — definita «estrema» — gira tra i ministeri competenti da alcuni giorni, stando a quanto apprende il Corriere della Sera da quattro fonti italiane ed europee, e rende bene l’idea della complessità dei dossier Alitalia e Ita. Ma è un’opzione che oltre a creare più problemi di quanti ne risolve, oltre a rimandare solo di poco l’inevitabile, rischia di far litigare il governo Draghi con Bruxelles con conseguenze indesiderate sugli altri fronti aperti con l’Ue.

Il passaggio di testimone

Il 14 ottobre Alitalia — da oltre quattro anni in amministrazione straordinaria — ufficialmente opererà gli ultimi voli. Il giorno successivo è previsto il decollo di Italia Trasporto Aereo, la nuova aviolinea pubblica che gode di un finanziamento statale di 1,35 miliardi di euro fino al 2023. Le condizioni per dare l’ok alla newco e dichiararla un’entità diversa da Alitalia sono svariate. Ita deve partire più piccola, con 2.800 dipendenti (contro gli attuali 10.200 di Alitalia), con 52 aerei (non di meno, se vuole conservare il maggior numero di slot del vecchio vettore), deve guadagnarsi il brand «Alitalia» attraverso una gara pubblica, così come l’handling (come socio di maggioranza) e la manutenzione (come socio di minoranza), ma non può prendersi il programma fedeltà MilleMiglia e nemmeno ereditare i biglietti prepagati di Alitalia.

Le trattative e le proteste

Al momento della partenza di Ita 7.400 persone resterebbero in Alitalia tra cassa integrazione in scadenza e altri impegnati a fornire alla newco i servizi di handling e manutenzione previsti dal contratto di fornitura tra la vecchia e la nuova compagnia in attesa che i bandi relativi a questi due asset aziendali trovino una loro definizione nei prossimi mesi. I sindacati intimano alla newco di sedersi al tavolo e negoziare il nuovo contratto di lavoro e chiedono di estendere la cassa integrazione al 2025, ultimo anno del primo piano industriale di Ita. Il governo avrebbe pronta una bozza di mediazione. Migliaia di dipendenti di Alitalia intanto protestano, bloccano strade, scioperano davanti ai ministeri, all’aeroporto di Roma Fiumicino e al quartier generale (provvisorio) della newco.

L’opzione sul tavolo

È in questo contesto che tra gli ambienti dei ministeri competenti sul dossier — Infrastrutture e mobilità sostenibili, Sviluppo economico, Lavoro ed Economia — è maturata da alcuni l’ipotesi di congelare il passaggio di consegne da Alitalia e Ita. Non solo per risolvere tutti i temi. Lo slittamento del decollo della newco verso marzo 2022 secondo i sostenitori dello «spostamento» — spiegano le fonti ministeriali — consentirebbe all’azienda di decollare in un momento più favorevole da un punto di vista commerciale, cioè quando le persone iniziano a prenotare le loro vacanze estive, e non nel momento peggiore, cioè ottobre-novembre quando inizia il periodo di ricavi minori per il settore. Fino ad allora Alitalia dovrebbe proseguire con i collegamenti.

La condanna Ue

Ma questa ipotesi, per quanto suggestiva, si scontrerebbe subito con quello che le fonti definiscono il «secondo pacchetto» di requisiti di Bruxelles per il piano Ita. Un pacchetto che tira in ballo direttamente il governo italiano. Per avere l’ok sulla newco Roma ha «assicurato» all’Antitrust comunitario di far sparire dal mercato Alitalia (intesa come compagnia) il prima possibile. Non solo perché per continuare l’azienda ha bisogno di altri soldi pubblici. Da settembre 2021 c’è la condanna sui 900 milioni di euro (più 150 milioni di interessi) di prestito che l’Ue ha bollato come aiuto di Stato illegale e che quindi Alitalia dovrà restituire il prima possibile e comunque entro quattro mesi, al massimo sei se ci sono ragioni particolari. Soldi che Alitalia non ha.

La seconda indagine

La bocciatura di quel prestito — erogato nel 2017 — era pronta da mesi e già messa nera su bianco lo scorso marzo, confermano le fonti italiane ed europee. Poi si decise di aspettare per trovare l’accordo sul dossier Ita. Negli scambi della scorsa primavera Bruxelles aveva fatto intendere a Roma che non avrebbe aperto una procedura d’infrazione per il mancato recupero da Alitalia di oltre un miliardo di euro a patto che l’azienda fosse fatta sparire presto per eliminare un elemento di forte distorsione del mercato. Si arriva così a metà luglio quando viene ufficializzata la fine di Alitalia (il 14 ottobre) e l’inizio di Ita (il 15 ottobre). Come ulteriore gesto distensivo e per non aggiungere tensione — ricostruiscono le fonti — l’Antitrust Ue ha anche scelto di ritardare l’altra decisione su Alitalia, quella sul prestito del 2019 da 400 milioni di euro: anche in questo saranno bollati come aiuto di Stato illegale e l’annuncio è previsto nella seconda metà di ottobre, cioè dopo lo stop alle attività. Anche questa somma non sarà mai recuperata.

La corsa di Ita

Una mano tesa europea che — sottolineano le fonti — il governo Draghi ha voluto ricambiare con quello che viene definito un «sacrificio»: spingere Ita a decollare il prima possibile, anche nel periodo meno propizio (l’autunno appunto), cosa che ha portato a bruciare i tempi con tutti i passaggi burocratici nazionali e internazionali, lavorando senza sosta ormai da fine luglio. Dai ministeri rivelano che non è raro ricevere e-mail e messaggi dai vertici della newco — il presidente Alfredo Altavilla e l’amministratore delegato Fabio Lazzerini — anche il sabato e la domenica sera. Che si debba decollare a metà ottobre lo ha detto Altavilla anche uscendo dall’audizione alla Commissione trasporti alla Camera alcuni giorni fa. «Ita deve partire il 15 ottobre per il semplice motivo che Alitalia dal 15 ottobre non vola più, quindi non ci sono dubbi, alternative, scusanti. Bisogna far di tutto per partire il 15 ottobre».

La cassa vuota

I sostenitori del «congelamento», continuano le fonti, ignorano che Alitalia non solo non ha soldi, ma ha pure smesso il 24 agosto di vendere i biglietti per i voli dal 15 ottobre. Quindi se anche si decidesse di spostare il decollo di Ita la vecchia compagnia si ritroverebbe con gli aerei vuoti, mentre quella nuova avrebbe in cassa decine di migliaia di prenotazioni che a quel punto dovrebbe onorare imbarcando i clienti sugli aerei di Alitalia. «I diversi ministri che si occupano di Alitalia e Ita stanno provando ad affrontare una tematica che è molto complessa, perché se Ita non parte i problemi si moltiplicano ulteriormente», ha detto il ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini a margine di «Futura 2021», la tre giorni della Cgil a Bologna.

Gli stipendi pagati a metà

In tutto questo da alcuni ministeri filtra una certa irritazione per il messaggio interno che i tre commissari di Alitalia — Gabriele Fava, Giuseppe Leogrande e Daniele Santosuosso — hanno inviato ai dipendenti venerdì 24 settembre con il quale annunciano che gli stipendi del mese saranno erogati al 50%. «Il rimanente 50% verrà accreditato non appena avremo evidenza sull’esito del bando del marchio Alitalia», scrivono. Una frase che è stata interpretata come un tentativo di addossare la responsabilità finale a Ita e di fare pressione proprio sulla newco che parteciperà sì alla gara, ma che non intende pagare 290 milioni di euro per il brand, semmai la metà.

lberberi@corriere.it