imprese

Bicicletta, è boom: da Cinelli a Bottecchia e De Rosa corrono le 250 aziende italiane che le fabbricano

Bicicletta, è boom: da Cinelli a Bottecchia e De Rosa corrono le 250 aziende italiane che le fabbricano

Sembra quasi un paradosso della storia. E più in particolare della storia quotidiana, fatta di costumi, consumi, abitudini. E sorprese. La fine (o quasi) del lockdown in Cina è raccontata dalle foto di lunghe file davanti ai negozi del fashion (spesso made in Italy); in Italia, e in particolare a Milano, da assembramenti di fronte alle vetrine, talvolta impreparate, dei negozi di biciclette (spesso made in China).

La coda davanti al negozio Rossignoli di Milano
La coda davanti al negozio Rossignoli di Milano

I numeri

Per le 250 aziende del settore, spesso piccole e familiari, che fatturano complessivamente 1,35 miliardi consegnando al Paese il primato di produzione (di frequente assemblaggio) ed export in Europa, è stata un’autentica sorpresa. Certo, il coronavirus ci ha tolto anche parte della primavera, e la bicicletta, tradizionale o a pedalata assistita (e-bike), è da noi un acquisto ancora stagionale. Per non parlare delle riparazioni, dopo mesi di cantina, box, cortile. E non si può nemmeno dire sia tutto merito degli incentivi statali, perché gli acquisti sono cominciati nell’incertezza di regole ancora. Né degli annunci sulle nuove piste ciclabili che, in particolare nel capoluogo lombardo, dovrebbero portare a un sensibile aumento dei percorsi dedicati alle due ruote. E allora, come si spiega l’euforia?

La salute

«C’è stata una ripartenza della domanda superiore alla valutazione anche più rosea di negozi e aziende», dice Paolo Magri, presidente di Ancma, l’associazione di ciclo e motociclo di Confindustria, «gli incentivi danno un contributo ma sa quanti genitori (e non solo) cominciano a pensare che pedalare sia più salutare di prendere un pullman? Il fattore distanza oggi è fondamentale. Però la scommessa, nostra e condivisa da autorità e cittadini, è che questa possa essere la volta buona per pensare e realizzare una mobilità, soprattutto urbana, nuova».

Il confronto

E chi, meglio della bici (anche «e») può diventare protagonista di una simile rivoluzione? Perché di rivoluzione si tratta (o si tratterebbe) visto che da noi in città sceglie di spostarsi pedalando meno del 4% delle persone, contro il 20-30% di Copenhagen, Amsterdam e Stoccolma. La nuova vita della bike-e-bike ha sì sorpreso quasi tutti, e magari colto alla sprovvista chi aveva i magazzini svuotati da quattro mesi di stop (due asiatici, con Cina e Taiwan in testa, che sono i maggiori produttori di molti componenti fra cui i telai, e due nostri). Ma non ha spiazzato del tutto chi vive nel settore.

I marchi

Cristiano De Rosa
Cristiano De Rosa

Molte imprese, e in particolare quelle con brand storici e affermati, hanno messo in pista nuove iniziative anche adeguando o rilanciando progetti che avevano nel cassetto delle officine. «Stiamo progettando un investimento significativo per arricchire il nostro catalogo Milanino», dice Cristiano De Rosa, che guida una delle nostre aziende (in poche rimaste a proprietà italiana) con brand globali e posizionate su una gamma alta prevalentemente sportiva (6 milioni di ricavi), «brand che nove anni fa abbiamo avviato pensando soprattutto, anche se non solo, alla città».

I «componibili»

Da sinistra, Enrico, Michele e Andrea Gastaldello
Da sinistra, Enrico, Michele e Andrea Gastaldello

Così anche alla Wilier Triestina (45 milioni di ricavi) hanno pensato di allargare il mercato di riferimento: «Trasformiamo modelli prima declinati con il manubrio da corsa in bici leggere assistite per andare anche a lavorare o farsi qualche scampagnata, con parafanghi e portapacchi “componibili”», spiega Andrea Gastaldello, la cui famiglia ha comprato l’azienda nel 1969. Ed è «a un livello più evoluto del «ci stiamo pensando» lo sbarco di Cinelli nella e-bike: «I nostri modelli sono comunque in gran parte “sportivamente” cittadini», dice Antonio Colombo, da oltre 40 anni patron di Columbus e titolare di Cinelli (10 milioni di fatturato) , brand legato anche a cultura e design (durante lo stop ha organizzato pratiche di yoga per ciclisti diffuse su youtube).

La ricerca tecnologica

E sulla e-bike punta Bottecchia (11 milioni di vendita), marchio storico nato sportivo e diventato popolare negli anni Settanta per la Graziella, rilevato 20 anni fa da otto imprenditori italiani e guidato dall’amministratore Diego Turato. Mentre in Taurus (700 mila euro di ricavi) è ricominciata la ricerca sulla «bici a idrogeno». Fabio De Felice, presidente e costruttore del nuovo corso del brand che ha rilevato nel 2017, ha ripreso la sperimentazione (passata in secondo piano prima del lockdown) su un’alternativa a idrogeno, che «sarà prodotto direttamente sulla bici: la nostra ricerca è rivolta a semplificare il processo di ricarica e a rendere esteticamente accattivante la soluzione». La elettrica è invece il solo modello su cui punta Fantic (40 milioni di giro d’affari). Mariano Roman, che nel 2014 ha rilevato il marchio del «Caballero», affronta la sfida della mobilità urbana con una bici un po’ e-ciclomotore lanciata alla fine dell’anno scorso.

Gli accordi

Massimo Doris in bici
Massimo Doris in bici

E proprio su quell’ibrido ha «scommesso» Massimo Doris, il banchiere-ciclista (da corsa) che con Mediolanum è dal 2003 uno dei principali sponsor del Giro d’Italia. Lo proporrà ai clienti (che con il Giro lo seguono accompagnati da miti di questo sport) e agenti a condizioni scelte. Lui, come suo padre Ennio appassionato della fatica del ciclista (Mediolanum ha scelto di sostenere la maglia azzurra, il gran premio della montagna), pensa però che sarà la e-bike la vera star della nuova mobilità, destinata auspicabilmente a trasformare lo spazio urbano: «Ne sono convinto perché non abito in città, e ritengo che la pedalata assistita sia più adatta per chi non è allenato o chi non può rinunciare al completo da lavoro». Certo, un problema è dove lasciarla. «Qualche compromesso bisogna accettarlo. Per esempio ad Amsterdam ho visto box light, idea che potremmo importare».

La famiglia

Il consenso, anche blasonato, dunque cresce. E con la nuova vita della bici aumenteranno anche le attenzioni dall’estero. I brand non lo nascondono, sono corteggiati da fondi che magari hanno già fatto shopping in Italia. «Riceviamo almeno una lusinga al mese», dice Cristiano De Rosa, che in azienda lavora con i due figli, Nicholas e Federico, «ma non cediamo, soprattutto a operazioni speculative. Crediamo nel marchio fondato da mio padre. È la nostra vita. Davvero: io sono nato in negozio. Come atleta ero lento, però me ne andavo in giro su bici che smontavo e rimontavo. Mio padre mi chiamava strolig, zingaro, giostraio, vagabondo. Ecco: sono rimasto un po’ così».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ULTIME NOTIZIE DA L’ECONOMIA
>