16 maggio 2020 - 00:46

Coronavirus, la conversione di Boris: guerra all’obesità e biciclette per tutti

Guarito dal Covid-19, il premier britannico sa di avere rischiato la vita perché sovrappeso. Era contrario allo «Stato-mamma»: oggi estende la sugar tax

di Luigi Ippolito

Coronavirus, la conversione di Boris: guerra all'obesità e biciclette per tutti
shadow

Dal nostro corrispondente
LONDRA —
Boris Johnson dichiara guerra alla ciccia: la propria e quella degli altri. E il motivo sta nello spavento che si è preso il mese scorso, quando ha rischiato seriamente di morire per il coronavirus: perché la ragione principale che lo ha fatto finire in terapia intensiva è il suo poderoso girovita.

Al momento di essere ammesso in ospedale, il premier britannico pesava la bellezza di 110 chili: obesità seria, la sua, perché con la sua altezza, che è di un metro e 75, quella stazza lo porta ad avere un indice di massa corporea pari a 36 (e si è obesi già sopra il 30).

Il peso in eccesso è la seconda causa, dopo l’età, di gravi complicazioni per il Covid
: ed è connesso anche al diabete e ai problemi cardiaci, altri fattori di rischio in caso di contagio da coronavirus. E la cosa non riguarda certo soltanto Boris: in Gran Bretagna ben il 30 per cento della popolazione adulta è obesa, il che forse è una delle spiegazioni dell’alto indice di mortalità da Covid in quel Paese.

Johnson ha deciso allora di affrontare la questione di petto (o di panza, se si vuole): e ha annunciato un approccio «molto più interventista» contro i chili in eccesso, i suoi e quelli dei connazionali. Per Boris si tratta di una inversione a U: lui è un ultra-libertario che si è sempre schierato contro il «nanny State», lo «Stato baby-sitter» che interviene nella vita dei cittadini. In passato Johnson ha appoggiato le mamme che infilavano torte ipercaloriche negli zainetti dei figli, in barba alle raccomandazioni scolastiche sul mangiare sano; si è espresso contro i seggiolini per bambini in auto, visti come una inutile costrizione alla libertà dei piccoli; e aveva promesso di abolire la «sugar tax», la tassa sulle bevande zuccherate che a suo dire finisce per colpire soprattutto i poveri.

Ma ora, la conversione: «Ho cambiato completamente idea su questo», ha detto la scorsa settimana ai suoi collaboratori, secondo quanto ha raccontato ieri il Times: «Per voi stecchini è tutto a posto», è stato sentito dire, esprimendo invece preoccupazione per i pesi massimi come lui. Dunque, lancia in resta contro il grasso in eccesso.

L’approccio preferito per la crociata salutista è quello ciclistico: più che imporre divieti, Johnson, in linea con i suoi istinti politici, punta sulla persuasione, convinto che questo sia «un buon momento per mettere la Gran Bretagna sulle due ruote». E dunque tutti in bicicletta: il governo sta già spendendo 2 miliardi in programmi per incoraggiare la gente a pedalare al lavoro e dicono che Boris sia ora «ossessionato» dall’idea di promuovere le bici. D’altra parte, il suo grande rimpianto da primo ministro è di non essere più libero di scorrazzare per Londra sulle due ruote, come faceva prima: rinuncia che lui considera una delle cause dell’esplosione del suo girovita.

Ma se costruire piste ciclabili e ampliare il «bike-sharing» è facile, più difficile è cambiare le abitudini alimentari della gente: e allora Boris si è piegato all’idea di estendere la «sugar tax». In più, ci sarà una campagna di sensibilizzazione verso i medici di base perché affrontino con più decisione il problema dell’obesità nei loro pazienti, evitando di girarci attorno.

La considerazione più generale che si cela dietro questo approccio è che ci vorrà molto tempo prima di sviluppare un vaccino per il coronavirus: dunque si tratta di lavorare sulla prevenzione, a partire dalla ciccia. Una considerazione che non vale solo per la Gran Bretagna: e che farebbero bene a tenere in conto soprattutto quei leader che non brillano per il fisico asciutto, a partire da Donald Trump, già dichiarato tecnicamente obeso dai medici della Casa Bianca. Sarà difficile aspettarsi una conversione da parte di un dittatore come il nordcoreano Kim, anche lui nel club dei «debordanti»: mentre lascia ben sperare un presidente dall’aria ascetica come Emmanuel Macron.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT